Carissimo Alessio Dionisi, amico dei giorni sportivamente più neri, a un certo punto, ieri, veniva voglia di ‘scendere’ in panchina, per recapitarle un abbraccio. Lei se ne stava lì, con la faccia attonita che era un manifesto della desolazione. Già si presentava dura, se poi ci mettiamo anche a regalare munifici doni a chi non ne avrebbe bisogno…
Una summa di masochismo, ecco cosa è stata un’altra serata orribile tinta di nero-rosa (per i feticisti del tabellino: Palermo-Pisa 1-2). Ranocchia che, scompostamente, offre il braccio e il calcio di rigore del vantaggio ai toscani. Desplanches che si inventa un errore da scandalizzare i dopolavoristi del calcetto, con pancetta e birra incorporata. Due a zero. E come si scala una montagna così?
Lei se ne stava lì, carissimo Alessio, come Ettore davanti ad Achille, sotto le mura di Troia. Ed eravamo tutti convinti che ci fosse soltanto, ormai, da onorare la prestazione, per quanto possibile. L’avremmo volentieri abbracciata, dunque, nel suo comprensibile smarrimento.
Poi, nel secondo tempo, la striminzita armata in rosa ha trovato una scossa galvanica, culminata in un fallo, non concesso, su Le Douaron e nel gol di Brunori. Il capitano ha giocato una partita di scatti e di nervi, con gli occhi spirdati. Ma, rete a parte, è quasi sempre finito, malinconicamente, in fuorigioco.
La ritrovata baldanza ha suggerito pensieri eroici che, minuto dopo minuto, sono mestamente naufragati contro la superiore organizzazione della squadra di Inzaghi. Un miracolo del portiere nerazzurro ha reso più amaro l’epilogo.
Alla fine, lei, carissimo Alessio, è scivolato nel tunnel dei rimpianti, sotto i fischi generali dello stadio che aveva contemplato l’evidenza di una verità, in questi giorni ancora nerissimi. Il Pisa, al pari di altre, è una squadra in cui ognuno sa come muoversi e cosa fare. Ciò che il Palermo non è mai stato.