Caso Giletti, siamo sicuri che dipenda dai soldi al pentito? - Live Sicilia

Caso Giletti, siamo sicuri che dipenda dai soldi al pentito?

Il silenzio dei media e una trasmissione che aveva toccato argomenti scottanti

ROMA – Al di là delle ricostruzioni, utili ad ognuno, a sostegno della propria tesi, forse, sarebbe utile parlare dei fatti. Mi chiedo: c’è davvero qualcuno disposto a credere che la ragione di una tale decisione della rete possa essere dipesa dal pagamento di Baiardo per le sue partecipazioni al programma? E non sia, invece, scaturita dal susseguirsi di inchieste su fatti di mafia-politica-servizi deviati-massoneria, già in parte noti, ma prevalentemente, solo agli addetti ai lavori.

I temi affrontati da ‘Non è l’Arena’

Fatti che ‘Non E’ L’Arena’ ha portato alla conoscenza di un più vasto pubblico che ignorava, ad esempio, la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, del depistaggio Scarantino, della mancata perquisizione della villa di Totò Riina, e della mancata cattura di Provenzano alla base della trattativa Stato-mafia, dell’arresto per mafia dell’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, della volontà di abolire l’ergastolo ostativo e il regime del 41 bis, necessità prioritarie dei boss Graviano, fino a svelare le debolezze e i vizi del capo di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. E, aggiungo, non sia scaturita dalle inchieste in cantiere su altre verità nascoste sui cosiddetti “intoccabili”?

“Con Giletti confronti accesi in piena libertà”

Un grande investigatore, che ha pagato sulla sua pelle il non essersi piegato è solito ripetere: ”Una variante quando non può essere gestita, viene eliminata”. Non sempre fisicamente, per fortuna, ma anche, come è accaduto ieri, dando il via alle trombe della delegittimazione iniziata con la notizia su twitter della perquisizione della Dia a casa di Massimo e a La7. Notizia inventata per un messaggio chiaro però: Massimo non era la vittima , bensì il colpevole. Lungi da me dal delineare i tratti di un santino, non sarebbe nel mio stile e, non sarebbe neppure credibile, vista la sua contraddittoria natura ribelle-conservatrice che spesso ha prodotto confronti accesi fra noi. Confronti che si sono sempre ricomposti, perché accumunati dalla, forse, ingenua, convinzione, che, per dirla con Cicerone: ”La libertà non consiste nell’avere un buon padrone, ma nel non averne affatto”.

Il silenzio dei media

Che Massimo Giletti sia il brutto anatroccolo nella cosiddetta “compagnia di giro” o, se si preferisce, del “conclave mediatico” più raffinato, è stato certificato ieri dal silenzio con cui è stata ignorata l’inedita e dirompente notizia, fatta eccezione dal Tg La 7 di Enrico Mentana. Provate solo ad immaginare, per un istante, cosa sarebbe accaduto, se, giusto il tempo di bere un sorso d’acqua, fosse stato chiuso un altro programma di punta.

Il nodo Baiardo

E questo riguarda il “come”. Ora torniamo al “cosa”. Chi, come me, scusate il peccato di umiltà, conosce da molti anni Cosa nostra, sa che il filo scoperto ha un nome: Salvatore Baiardo, già condannato per favoreggiamento per la latitanza dei boss Giuseppe e Filippo Graviano. Uno strumento nelle mani di un puparo, forse? E chi sarebbe il puparo che ha “bruciato” Massimo Giletti quando ha ritenuto che non servisse più perché ha fatto qualcosa di troppo dissonante? Non resta che sperare che la Procura di Firenze che ha ascoltato Massimo come persona informata dei fatti, e interrogato Baiardo, possa dare le adeguate risposte in tempi ragionevoli per far tacere le trombe, così efficaci, per mascariare, restando in tema.


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