PALERMO – Nessun colpevole. La Cassazione scrive la parola fine sulla trattativa Stato-mafia. Assolti i carabinieri, assolto Marcello Dell’Utri. Prescrizione per Leoluca Bagarella e Antonico Cinà.
La Corte di Assise di appello di Palermo aveva ribaltato il verdetto di primo grado assolvendo “perché il fatto non costituisce reato” l’ex senatore Marcello Dell’Utri. Nel suo caso è stato rigettato il ricorso della procura generale, dunque assoluzione confermata.
Confermata pure l’assoluzione per gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, ma con una formula ancora più netta. Non più perché il fatto non costituisce reato (sentenza annullata senza rinvio), ma per non averlo commesso. Non si trattò, dunque, soltanto di un questione legata alla mancanza del dolo.
Con la stessa sentenza il collegio presieduto da Angelo Pellino aveva ridotto la pena a 27 anni per il boss corleonese Leoluca Bagarella e confermato quella a 12 per il medico-boss Antonino Cinà. Adesso il loro reato – la minaccia al corpo politico – è stato ritenuto solo tentato. Da qui la prescrizione.
Soddisfazione esprimono gli avvocati Francesco Centonze, Tullio Padovani e Francesco Bertorotta, difensori di Dell’Utri. Gli ufficiali dei carabinieri erano difesi dagli avvocati Basilio Milio e Francesco Romito. Si scopre ora che i legali avevano fatto ricorso contro l’assoluzione per mancanza di dolo. Ritenevano che i carabinieri meritassero di essere scagionati totalmente per un fatto mai commesso. I supremi giudici gli hanno dato ragione.
“Sono parzialmente soddisfatto considerando che per 20 anni mi hanno tenuto sotto processo. Ero convinto di non avere fatto nulla, il mio mestiere lo conosco, so che se avessi sbagliato me ne sarei accorto”, dice Mori uscendo dal palazzo dopo la sentenza.
I giudici di secondo grado scrissero che la minaccia mafiosa ci fu (ora diventa solo tentata). Le bombe esplosero nella stagione delle stragi del ’92-’93, provocando morte e distruzione.
Secondo il collegio di appello, gli ufficiali del Ros – Mario Mori su tutti – si attivarono perché volevano fermare le stragi, disinnescare la minaccia mafiosa, dall’interno della stessa organizzazione criminale. La “improvvida iniziativa” della trattativa da parte dei carabinieri aveva “fini solidaristici” ovvero “la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato“.
Fu avviato “un dialogo con i vertici mafiosi finalizzato a superare la contrapposizione frontale con lo Stato che i detti vertici mafiosi avevano deciso dopo l’esito del maxi processo e che era culminata già, in quel momento, con la gravissima strage di Capaci”.
La Cassazione ha ora stabilito, azzerando questa ricostruzione, che i militari non hanno commesso il fatto. Cade dunque l’impianto accusatorio della Trattativa stessa.