Catania, l'Autonomia differenziata la Cisl non segue Cgil e Uil

Catania, l’Autonomia differenziata: la Cisl non segue Cgil e Uil

Attanasio: "Favorevoli a patto che sia garantita la coesione"

CATANIA – Dividerà o non dividerà il Paese? Nel dubbio, è certo che l’Autonomia differenziata abbia già marcato ulteriormente la distanza tra le forze sindacali di quella che una volta era definita la Triplice: Cgil, Cisl e Uil.

Una divaricazione in atto da tempo, con l’organizzazione guidata da Luigi Sbarra che ha assunto una postura dialogante rispetto al governo Meloni, a partire dalla convergenza sul tema della Partecipazione, argomento bandiera sia del sindacato cattolico che del sindacalismo nazionale.

Una Triplice senza Cisl, dunque. Ne abbiamo parlato con Maurizio Attanasio, segretario catanese del sindacato con sede in via Vincenzo Giuffrida. 

Attanasio, i segretari provinciali di Cgil e Uil stanno raccogliendo le firme contro il disegno Calderoli sulla cosiddetta Autonomia differenziata. E lei?

Come dico da sempre, il percorso di Cisl, Cgil e Uil spesso ci vede uniti negli obiettivi e nell’agire; altrettanto spesso, però, ci vede separati per cultura, modelli sindacali e approcci di autonomia verso la politica e i partiti politici.

Noi riteniamo che il sindacato debba svolgere il ruolo che gli compete affidatogli dalla Costituzione e il mandato assegnato dai lavoratori, dai pensionati e dalle famiglie di tutto il Paese. Non abbiamo mai pensato di diventare soggetto diverso dall’essere sindacato, magari facendo opposizione politica e partitica. 

Mi vuole dire che il sindacato non abbia mai fatto politica?

Il sindacato fa politica ma solo di tipo sociale, non di certo partitica. E lo fa in modo indipendente, dialogando oppure entrando in conflitto in autonomia con tutti i governi democratici. Noi non abbiamo mai annunciato mobilitazioni a priori.

Per noi della Cisl non esistono Governi “amici” o “nemici” perché da sempre abbiamo misurato i Governi, di qualsiasi composizione politica, rispetto a ciò che promuovono per il lavoro, lo sviluppo socio economico e la crescita dell’intero Paese, rappresentando le rivendicazioni e gli interessi collettivi dell’intera nazione.

Non è stato sempre così, però.

Come certo saprà, la raccolta firme per il referendum non è solo contro il disegno di legge Calderoli, ma vi è anche la proposta di introdurre il salario minimo per legge, superando così la contrattazione nazionale e i Ccnl ed esautorando ogni forma di confronto tra le parti sociali, compreso quello sindacale, delegando invece alla politica il fondamentale perimetro di azione del sindacato. 

Come vi ponete davanti a quella che, a parer suo, ha la dinamica di una deriva?

Noi, in piena autonomia e coscienza, stiamo agendo da organizzazione sindacale riformista, corresponsabile e libera da pregiudizi ideologici e partitici, muovendoci su due fronti.

Uno con il confronto con il governo nazionale condotto dal segretario generale Luigi Sbarra e dalla segreteria nazionale della Cisl che tende ad aprire il dialogo per modificare la legge Calderoli.

Poi, in vista del dibattito sulla legge di stabilità, aprire questioni importanti come il cantiere pensioni, contrastare i fenomeni di de-industrializzazione e rinnovare i Ccnl, in primis quello dei dipendenti statali, impegnare ogni centesimo dei finanziamenti comunitari su tutti gli asset strategici per il Paese.

E a livello locale?

Siamo impegnati a mantenere costantemente la contrattazione e la concertazione con gli Enti del territorio per promuovere il lavoro buono e le Politiche inclusive e di crescita per l’intera provincia. 

Partecipate, rifiuti, crisi idrica, zona industriale, sanità, sicurezza, edilizia scolastica e infrastrutture, l’abitare, devianza e disagio giovanile, politiche per la famiglia, per gli anziani e le multi-fragilità, sono solo alcuni dei temi più salienti che, assieme alle le nostre Federazioni di categoria, stiamo affrontando nell’interesse dei mondi che rappresentiamo.  

La Cisl è dunque pro o contro l’Autonomia differenziata?

Sull’Autonomia differenziata si sono scatenate due fazioni contrapposte. Noi non ci siamo iscritti né all’una né all’altra. I filosofi medievali insegnavano che prima di aprire una discussione su un argomento, occorreva chiarire il significato dei termini della questione (ovvero explicatio terminorum), diversamente ci sarebbe stato il pericolo di incorrere in molteplici equivoci che avrebbero reso vano il confronto.

Chiariamo i termini della questione, allora. 

Prima di intavolare qualsiasi discussione riteniamo che vada ricordato che l’autonomia differenziata è stata introdotta nella Costituzione italiana con la riforma del Titolo V, avvenuta nel 2001 con il Governo Amato.

E che la stessa prevede la possibilità da parte delle Regioni a statuto ordinario di negoziare con lo Stato condizioni particolari di autonomia su tutte le materie di legislazione concorrente e su alcune materie di legislazione dello Stato.

Noi abbiamo assunto una linea chiara, ben espressa dal nostro segretario generale Luigi Sbarra: questo referendum, se raggiunto il quorum, non cambierà di una virgola sia il Titolo Quinto della Costituzione sia l’autonomia delle regioni a statuto speciale, come la nostra, garantita da norme costituzionali del 2000. 

Quindi siete anche voi per la modifica, giusto?

La Cisl pensa che il disegno di legge Calderoli sia da modificare. Siamo favorevoli a un’autonomia, solo se questa rispetta i principi di solidarietà e coesione tra le regioni. Ogni forma di autonomia deve essere accompagnata da adeguate risorse da attingere da un fondo di solidarietà creato ad hoc e da meccanismi di coordinamento nazionale che evitino divari e conflitti tra territori.

Per le materie di particolare rilevanza quali sanità, infrastrutture, trasporti, politiche energetiche e ambientali, anche prima della norma, abbiamo sempre ripetuto che, sui temi della coesione sociale e territoriale, è indispensabile un coordinamento e una regia nazionale.

Si riferisce alla questione dei Lep? 

Riteniamo che preliminarmente vengano definiti, e ben finanziati, i cosiddetti “fabbisogni standard” e i livelli essenziali delle prestazioni. Bisogna, inoltre, tenere la legge lontana dalla contrattazione collettiva nazionale della scuola.

Così come crediamo che il trasferimento di funzioni alle Regioni debba collocarsi entro le coordinate della cooperazione, della solidarietà e della sussidiarietà tra i territori e tra i cittadini e tra i livelli istituzionali. 

Accordi e intese: a che punto dovrebbero stare?

Infine, ma non per ultimo, va garantito il percorso democratico degli accordi. I contenuti delle intese devono essere definiti anche con le parti sociali e con il contributo del Parlamento, affinché l’istruzione, gli aspetti regolamentari, ordinamentali, gestionali e salariali non diventino oggetto della legislazione regionale, così come per i contratti collettivi nazionali non si debbono prevedere deroghe regionaliste o territoriali. 

Autonomia e Lavoro possono procedere assieme?

La Cisl è convinta che occorra un coinvolgimento attivo del mondo del lavoro nelle discussioni riguardanti l’implementazione di questa autonomia, per garantire che le esigenze dei lavoratori siano sempre al centro delle decisioni che vengono prese.Questi per noi rappresentano, in modo imprescindibile, il perimetro entro il quale l’autonomia debba muoversi. 

Un siciliano può mai essere, in coscienza, contro l’Autonomia?

Nella vicenda del referendum, questo è probabilmente l’aspetto più paradossale per la Sicilia. Sono in tanti, e mi spiace costatare che tra questi vi siano anche ex anziani deputati regionali, a “dimenticare” che la Regione Siciliana ha un suo Statuto che è nato anche prima della Costituzione italiana, ben 78 anni fa. Ha presente quella parabola di chi indicava la luna e di chi guardava il dito? 

Segretario, a cosa si riferisce?

Spero si sia concordi, semmai, che la nostra Regione non sia riuscita a cogliere tutte le opportunità insite nel proprio Statuto speciale. Uno statuto speciale costato tanto al popolo siciliano, ma che per l’inefficiente applicazione dello stesso, aveva portato persino al paradosso che, il 23 ottobre 1991, venne proposto all’XI legislatura del Senato un disegno di legge costituzionale volto ad abrogarlo.

Come andò a finire, ce lo può ricordare?

Ce anche i vescovi siciliani, insieme alle organizzazioni sindacali di area cattolica in quel periodo, denunciarono il tradimento dell’autonomia, ponendo come orizzonte di riferimento il pensiero autonomista di don Sturzo e le rivendicazioni di Vito Scalia (già segretario generale aggiunto della Cisl e, finita la carriera di sindacalista, eletto parlamentare e nominato ministro del governo Cossiga nel 1979) e dei leader laici cattolici sindacali. 

Quali erano le ragioni?

Il pensiero comune di vescovi e sindacalisti riconosceva tra le molteplici cause del fallimento dell’esperienza autonomistica, l’inefficienza di certa classe politica sempre più avvitata su sé stessa, incapace di progettualità, attenta a gratificare gli interessi di partito anziché curarsi del bene comune. 

Ecco, forse è da qui che occorrerebbe ripartire per rivitalizzare l’autonomia siciliana: dalla cura del bene comune, dall’assunzione di responsabilità della politica siciliana nei confronti dei suoi cittadini ed elettori e, come dice oggi l’arcivescovo di Catania Luigi Renna – a cui mando un abbraccio –  a cessare di essere etero diretti dalla politica e dalle scelte centraliste. 

La sensazione è però che, a livello nazionale, la Cisl trova più facilità di dialogo con le forze di governo che con le sigle sindacali della Triplice, che succede?

Noi riteniamo che solo dal confronto, anche serrato, ai tavoli delle trattative possano nascere misure eque e durature per il Paese. Nella nostra cultura sindacale le manifestazioni di piazza e, in extrema ratio, le dichiarazioni di sciopero non devono precedere mai la richiesta del confronto con le controparti.

La polarizzazione politico-sindacale non fa di certo bene al Paese. La nostra linea in questi anni si è basata, principalmente, sull’autonomia dalla politica, sull’affidabilità negoziale e sul senso di responsabilità. Analizzando le nostre proposte, presentate in questi anni a tutti i livelli, non troveranno di certo velleitarismi, populismi, demagogia sindacale.

Crediamo nell’unità sindacale perché in noi è forte il valore che essa esprime, ma riteniamo che l’unità si raggiunga senza egemonie, senza colpi di fulmine per alcun governo o per partiti e movimenti politici e senza fughe in avanti. Quando si sta insieme occorre rispettarsi l’uno con l’altro. 

Siete prossimi al divorzio?

Le nostre piattaforme restano in parte unitarie, ma negli ultimi anni, inutile negarlo, ha prevalso una diversa valutazione sui risultati conquistati e una differente concezione del ruolo del sindacato nella società.

Per noi il Sindacato deve avere natura associativa, contrattuale, partecipativa, riformista fin quando il dialogo c’è. Noi ai “no” contrapponiamo o affianchiamo, sempre, il “perché” e le “proposte” di merito, perché puntiamo a generare le condizioni per un nuovo patto sociale. In questo senso va anche la nostra proposta di legge sulla partecipazione. 

E a Catania, con chi è più facile dialogare oggi? 

Noi dialoghiamo con tutti, governi locali, istituzioni, aziende e parti datoriali. Dialoghiamo anche con Cgil e Uil, laddove esistono spazi di confronto e di dialogo, di intenti funzionali, dove concretamente si rispettano e si attuano le scelte condivise, scevri da influenze ideologiche e/o partitiche.

La Cisl di Catania e le sue Federazioni guardano con attenzione soprattutto alle dinamiche locali e ritengono che, prima di ogni altra cosa, si debba saper tradurre concretamente i bisogni della nostra collettività, a partire dal territorio. 

Come si traduce tutto ciò in termini operativi?

A Catania, nella storia del movimento sindacale confederale, l’unità di Cisl, Cgil e Uil è stata, in molti casi, valore aggiunto, sia nell’affrontare le grandi vertenze ed emergenze che hanno costituito momenti di forte crisi e tensione sociale, sia nel promuovere significativi momenti di salvaguardia della salute e di tutele collettive per i cittadini e i lavoratori, ma anche nel promuovere azioni di sviluppo socio occupazionale. Il dialogo c’è sempre stato e auspichiamo ci possa essere sempre. 

Un esempio?

Un esempio è il dissesto del comune di Catania, dove si rischiava il “collasso” della città insieme a oltre 11 mila posti di lavoro e i protocolli sulla salute sottoscritti nel 2020, durante il periodo del lockdown, che consentirono la salvaguardia di lavoro e produzione nelle aziende che in quel contesto erano strategiche per la società tutta.

Da segretario generale della Cisl catanese, forte anche del giudizio dei miei colleghi segretari delle Federazioni della Cisl che insieme a noi sono in prima linea nel costante confronto che il sindacato sostiene nel settore pubblico, sanitario, industriale, agricolo, terziario e nella contrattazione sociale nel territorio, posso affermare che Cisl, Cgil e Uil, rappresentano comunque un riferimento per lavoratrici e lavoratori.

Seppur agiscano con modelli sindacali diversi, derivati dalla storia, dalla cultura e dalla formazione di ognuno e su cui negli ultimi anni ha fortemente inciso la differenzazione di come intendere il rapporto con i partiti e la politica. 

Differenze che pesano?

Proprio per queste differenziazioni, spesso, è venuta meno l’unità nell’agire. Come successo in alcuni contesti aziendali di imprese multinazionali, dove si è provato a sostituire il modello contrattuale a quello conflittuale, legato a vecchi feticci del novecento, oppure nell’interpretare il ruolo distinto tra politica e sindacato e le scelte di esercitare ruoli di governo della Città, nel nome del movimento sindacale, senza però averne mai condiviso né la necessità né, ancora peggio, la visione e l’azione.


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