Cosa Nostra, Ciccio Napoli e altri 21 tornano alla sbarra a Catania

Mafia, Francesco Napoli e altri 21: i Santapaola in appello

Alcuni imputati chiederanno il "concordato"

CATANIA – Deve aspettare ancora per sapere quale sarà il suo destino in appello. Ciccio Napoli, il presunto uomo d’onore ‘riservato’ dei Santapaola, dovrà attendere almeno fino a martedì prossimo. E questo perchè numerosi suoi co-imputati – si parla di almeno una decina dei 22 alla sbarra al processo Sangue blu – chiederanno il concordato.

Otterranno uno sconto di pena, in pratica, rinunciando ad alcuni motivi d’appello. Non è questa la strada intrapresa da Napoli. I suoi legali hanno contestato la condanna a 14 anni presa in primo grado, ma non chiedono nessun tipo di concordato. Napoli, che si trova detenuto al 41 bis, è difeso dagli avvocati Salvo Pace e Giuseppe Marletta.

Si va in aula il 17 giugno

Napoli parteciperà in videoconferenza dal carcere di Viterbo. Il pg Nicolò Marino dovrà comunicare i nomi di coloro che hanno chiesto e ottenuto il concordato con l’accusa. Poi, definito questo passaggio, si passerà alla requisitoria. La sentenza, i giudici della prima sezione penale della Corte d’appello, la emetteranno alla fine per tutti.

È un imputato importante: Napoli sarebbe il penultimo dei capi conosciuti dei Santapaola. In primo grado, peraltro, aveva fatto delle ammissioni. Dichiarazioni, le sue, che di fatto confermarono il suo ruolo di vertice: quello di reggente del clan Santapaola Ercolano a Catania. Disse di averlo fatto per non essere riuscito a sottrarsi a un destino che ha definito “ineluttabile”, considerato che aveva immaginato di andare via dalla Sicilia ma che era stato costretto a restare.

Il ‘pedigree mafioso’ di Ciccio Napoli

Ha specificato che già da prima di essere scarcerato, negli ambienti, si sapeva che sarebbe toccato a lui reggere le sorti del clan. Quasi toccasse a lui per successione dinastica, dato che “u cavadduzzu” era in qualche modo imparentato, o affine al super-boss Nitto Santapaola. Ma di fatto era anche l’unico ad avere evidentemente un carisma tale da poter ricoprire quel ruolo.

Una nomina scomoda che, ha scritto al giudice, avrebbe cercato di non accettare, nonostante in carcere si fosse mosso in qualche modo per dare sostegno agli affiliati, per portare avanti le loro istanze, forte proprio della personalità che gli veniva riconosciuta ed anche, ovviamente, per via delle sue parentele.


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