Catania e i soldi dei Santapaola: ecco chi è il colletto bianco arrestato

Catania e i soldi dei Santapaola: ecco chi è il colletto bianco arrestato

Si tratta di un big dell'edilizia

CATANIA – Fabrizio Giovanni Papa, big dell’edilizia con la sua Bf Costruzioni e altre due società, è il colletto bianco finito agli arresti nell’operazione Oleandro della guardia di finanza. Secondo le ipotesi investigative, attraverso le sue aziende avrebbe alimentato rapporti con il gruppo di Picanello del clan Ercolano – Santapaola. Il capo d’accusa principale, per l’imprenditore, è quello di associazione mafiosa.

L’identikit

Fabrizio Giovanni Papa avrebbe messo a disposizione del boss di Picanello, Carmelo Salemi, “le proprie società”, e ne avrebbe costituito altre “che servivano – scrive la Gip Giuseppina Montuori – al riciclo dei proventi illeciti del clan, nonché in varie occasioni si interessava di mantenere economicamente alcuni esponenti del gruppo”.

Le intercettazioni

“Questo ora però sai cosa ho fatto…per chiudere il contratto ho chiamato a quello di Picanello…il boss!”. Sono le parole di Papa, che ha una rete di contatti di livello, mentre parla con F.M., funzionario di banca della Credem Spa e rappresentante legale della Santa Lucia Immobiliare Srl, suo “socio di fatto”. Insieme vengono intercettati mentre l’imprenditore descrive il funzionamento del gruppo mafioso di Picanello, puntando sul reggente Carmelo Salemi. “Ora – dice Papa – è inutile che ti cerchi un altro architetto…tanto giri…te la devi chiudere con Fabrizio…ora io ho tutte cose…non lo vuoi fare con lui? Non lo fare dagli la parte (ndr l’utile concordato)! Però chi viene, l’impresa deve pensare al quartiere”. L’imprenditore parla dei “ragazzi” del clan, “vedi che domani devi andare a fare danno, i due ragazzi sono soldati e non puoi dirgli niente”. “Quello – aggiunge il banchiere – comanda dal carcere”. E Papa conferma: “Dal carcere comanda, lascia stare, perché in carcere fanno più cose di fuori”.

L’articolazione del clan

Il gruppo di Picanello può contare su “100 soldati”, pagati con il traffico di droga, svela l’imprenditore intercettato: “Tu, hai i banchieri, quello ha le … loro hanno il giro, il giro che dice al ragazzo non gli fanno mancare niente alla settimana, non gli fanno mancare mai niente fanno quello che…e hanno un…di 100,200, 390, tutti inc.le sono grossi l’hai capito?”.

Le estorsioni

Secondo quanto confida Papa al banchiere, con i nuovi metodi estorsivi, tutte le imprese sarebbero “nelle mani del clan”. “Non gli conviene ad andargli a metterci la bomba per prendere a fuoco un cantiere – dice l’imprenditore – perché lo sanno che il tempo che gli vai a mettere la bottiglia già perchè i confidenti ci sono per dire…se io, vengo per dire a Militello, c’è pace, perchè a loro ormai non gli interessa più, che poi viene da te, dice … ti possono dire: il ferro anzichè prenderlo da Franco prenditelo da Pippo perché hanno l’azienda nelle mani”. Estorsioni attraverso l’imposizione delle materie prime, attraverso le forniture, un sistema che “conviene” e che consente di avere la “pace”, con una percentuale sui materiali che va al clan.

Il ritorno degli ergastolani

“Ora c’è una catena che esce…tutti quelli che hanno arrestato 30 anni fa... stanno uscendo tutti quanti… tutti gli ergastolani che si sono fatti l’ergastolo… hai capito…?”. Ancora parole dell’imprenditore, che viene intercettato con Antonino Pappalardo detto “Nino Monterosso”, pregiudicato per omicidio, appropriazione indebita e ricettazione: già controllato con affiliati al clan Laudani come Gaetano Gangi e Carmelo Nicolosi. Papa confida all’omicida di aver fatto “un’operazione”, si parla degli “amici” del carcere e di alcune operazioni immobiliari.

L’omicida parla anche di un affare in cui l’imprenditore e il boss di Picanello sarebbero “soci”: “Ora tu e Melo – dice Pappalardo – avete preso questa decisione, minchia, fatemelo sapere perchè a Melo se lo sono portati 20 giorni prima, sicuramente voi altri quel terreno l’avete preso, non so, due mesi, 6 mesi, cioè almeno ditemelo, Nino minchia un giorno e mezzo”. Dal canto suo, l’imprenditore dimostrava il proprio “interesse” per mantenere in carcere il reggente, provvedendo anche al pagamento dell’onorario dei suoi difensori. I finanzieri monitorano i movimenti bancari a favore di Salemi, nella casa circondariale di Vicenza. I soldi arrivano dalla Al Garden Salemi Srls, società di Salemi e spuntano versamenti in contanti tramite bancomat e bonifici da parte dell’imprenditore Papa nello stesso giorno.

La protezione del boss

“Ma va dai…io non gli devo dare nulla…se io faccio qualcosa con lui, Melo di me si fida capisci!’, io glielo devo dire agli estremi della situazione”. Papa rivendica di godere della fiducia del boss, producendo, nelle persone “con cui conduce i propri affari, timore reverenziale”. Uno degli interlocutori fa un esempio: “Quello che voglio dire io, allora non mi capisci, se vengono i malandrini e ti minacciano tu a quel punto glielo devi dire!”. E Fabrizio Papa non ha dubbi: “Non mi possono minacciare, perchè non si possono permettere di minacciare a Fabrizio”.

L’assetto societario

Fabrizio Papa è socio di maggioranza della BF Costruzioni Srl e della Fabri Immobiliare Srl con il 95% delle quote, ma anche della PF Costruzioni Srl con il 50% delle quote, “nonostante le stesse siano formalmente intestate al genero – sottolineano gli inquirenti – ad altri soggetti”. Gli investigatori annotano movimenti sospetti tra le società, cessioni di immobili “false e simulate”, tra soggetti che erano sempre gli stessi. Nel reticolo dei “soci” ci sono alcuni parenti di Papa e un commercialista etneo già noto alle forze dell’ordine. Dalle visure catastali emerge un lunghissimo elenco di unità immobiliari, ville, terreni, appartamenti, riconducibili all’imprenditore, che fanno parte di quel tesoro da “12 milioni di euro” che è finito sotto sequestro.


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