Catania stupro e orrore: Ho dato una testata mi hanno preso a calci

Lo stupro e l’orrore: “Ho dato una testata, mi hanno preso a calci”

La convalida dei fermi e una ferita che rimane insanabile

CATANIA – Dietro un vetro specchio del comando provinciale dei carabinieri a piazza Verga, la tredicenne vittima della vile violenza sessuale nei bagni della villa Bellini riconosce uno dei suoi aggressori. Il suo fidanzato diciassettenne, al contempo, individua uno di quelli che quella maledetta sera lo tratteneva per impedirgli di andare a soccorrerla. Il puzzle investigativo degli inquirenti, dalla notte del 30 gennaio scorso, si è andato ricomponendo pezzo dopo pezzo. 

E c’è una data quasi cruciale. Quella del 2 febbraio quando uno dei componenti del cosiddetto branco si presenta spontaneamente ai militari dell’Arma. E lo fa dopo che gli assistenti sociali della comunità nella quale alloggia, vedendolo inquieto gli chiedono cosa fosse accaduto. A distanza di già di diverse ore, lui vuota il sacco. Uno sfogo raccolto dagli stessi operatori che lo invitano a presentarsi in caserma e raccontare tutto. È lui che, alla presenza di un interprete, spiega cosa accadde quella sera (confermando di fatto il racconto delle due vittime), fornendo anche un account Instagram dove campeggia una foto che fa da identikit a due degli aggressori. Una svolta vera e propria per una indagine che si concretizza materialmente la mattina del 3 febbraio con i fermi disposti dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e della sostituta Anna Trinchillo.

Un racconto atroce

Racconta il fidanzato 17enne: “Mi davano spinte e calci per tenermi lontano. Alcuni ragazzi si arrampicavano dal bagno posto a quello in cui avveniva l’aggressione, per potere guardare. Io a quel punto, visto che mi impedivano di intervenire per aiutare la mia ragazza ad un certo punto ho dato una testata alla porta per attirare la loro attenzione e fare in modo che la lasciassero in pace. Uno di loro che aveva il giubbotto bianco mi ha detto “che cazzo volevo e che mi avrebbe spaccato il culo”. Questo con il giubbotto mi ha dato i calci e gli altri mi spingevano”. 

Il tentativo di liberarsi

Per il gip Carlo Umberto Cannella non ci sono dubbi. L’orrore nei bagni della villa Bellini ha avuto termine solo grazie al tentativo di liberarsi riuscito alla vittima. Per il giudice la personalità degli indagati “poco avvezzi al vivere civile”, senza una reazione della tredicenne la violenza sessuale sarebbe proseguita anche da chi in quel momento stava soltanto assistendo e bloccando il fidanzato diciassettenne.

“Estremo livello di pericolosità”

“Quanto alle esigenze cautelari – scrive il gip nella sua ordinanza -, appare evidente che sussiste il pericolo di reiterazione delle condotte per cui si procede alla luce della personalità degli imputati, autori di un’azione ehe non può che suscitare orrore e che indica un estremo livello di pericolosità sociale dei predetti, i quali sono stati capaci di approfittare della condizione di inferiorità fisica delle vittime, due minori del tutto indifesi, a fronte di un’aggressione bestiale operata congiuntamente da un numero di almeno sette persone. Si tratta di soggetti giunti in Italia da minori senza documenti personali e privi di stabile dimora – conclude il giudice -, circostanze delle quali i predetti potrebbero approfittare per rendersi irreperibili e sottrarsi al procedimento in corso, come dimostrato peraltro dalla condotta posta in essere da uno degli indagati, il quale riusciva a sottrarsi al fermo rendendosi irreperibile per molte ore e in tal modo impegnando la P.G. in incessanti attività volte al suo rintraccio”.

“Fiducia nella giustizia”

E, intanto, rimbalzano le parole pronunciate ieri dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita a proposito della vittima: “Ho visto una ragazza serena, determinata e ferita, ma desiderosa di giustizia, senz’altro più matura della sua età, non desiderosa di vendetta e senza rendersi disponibile a riconoscimenti incerti: questa ragazza, vittima di un reato grave, ha dato esempio di obiettività, reagendo avendo fiducia nella Giustizia”.

Quello che resta, al momento, è una città ferita. Che chiede (e spera) di non rivivere un momento così devastante: per sé stessa e per i figli della propria comunità.


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