CATANA – “Lei era consenziente”. Parole sconvolgenti e inqualificabili. Una dichiarazione spontanea, resa da uno degli arrestati, di nazionalità egiziana, per lo stupro di gruppo del 30 gennaio scorso alla Villa Bellini di Catania. Parole che hanno provocato lo sconcerto in aula. Specie perchè la vittima è una ragazzina di età inferiore ai 14 anni.
L’indagato ha chiesto di parlare al termine dell’incidente probatorio che si è svolto in un’aula attrezzata presso il tribunale per i minorenni di Catania. Da dietro un vetro unidirezionale, in modalità protetta, la vittima e il fidanzatino sono stati interrogati dai gip Anna Russo e Carlo Cannella. I giudici hanno posto le domande delle parti.
Loro, gli indagati, stavano dall’altra parte del vetro. Il tutto ovviamente senza possibilità di contatti, neppure visivi.
La capacità di testimoniare
In apertura dell’udienza hanno deposto una psichiatra e una psicologa, Alfina Scuderi e Graziella Trovato, che hanno confermato l’assenza di patologie del ragazzino testimone. Il ragazzo è a sua volta persona offesa: mentre gli altri abusavano di lei, alcuni lo hanno trattenuto a forza. Secondo le esperti non vi sono patologie in grado di influire sulla sua capacità di testimoniare.
Le domande, come detto, sono state poste dai gip, formulate dalla sostituta Anna Trinchillo e dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dai pm della Procura minorile Carla Santocono e Orazio Longo. I sette indagati, di nazionalità egiziana, sono difesi dagli avvocati Abate, Cipriano, Cinquerrui, Ganci e Ventura (i maggiorenni), Gulizia e Mauceri i minorenni.
Il fidanzatino della vittima è assistito dall’avvocato Eleonora Baratta, mentre l’avvocata Puglisi assiste la ragazzina stuprata. Nell’incidente probatorio sono stati interrogati entrambi. L’interrogatorio protetto è stato registrato.
L’udienza-fiume
Si è trattato di un’udienza durate circa cinque ore. E molto affollata, per la presenza, oltre che degli indagati detenuti e le loro scorte, anche di tutori, interpreti, che traducevano sinteticamente per loro, cancellieri e tecnici audio-video, sedute al tavolo circolare di fronte al vetro oscurato solo le parti processuali.
Poi come detto, infine, le parole di uno degli indagati, il cui dna è stato riscontrato sugli indumenti della vittima. Le sue dichiarazioni, in cui sostanzialmente accusa la vittima di aver prestato consenso al rapporto con alcuni di loro nei bagni della vittima, riaccendono l’orrore per quel pomeriggio di violenza.
E fanno presagire un processo che si preannuncia a dir poco animato. Adesso le carte tornano dagli uffici dei gip alle due procure che indagano.