CATANIA – Se un boss degli Scalisi, gruppetto del clan Laudani operante ad Adrano, decide di pentirsi, allora nulla per lui è più al sicuro. Neppure gli affetti più cari. Le minacce sono trasversali ma dirette, esplicite, con l’obiettivo di farlo ritrattare, di fargli rimangiare tutto. Uno degli arrestati nell’operazione contro il clan Scalisi, uno dei gruppetti che fanno capo ai cosiddetti “mussi i ficurinia”, Antonio Ricceri, è accusato di minacce gravi.
A dicembre 2023 avrebbe telefonato a un familiare del pentito Salvatore Giarrizzo. A lui avrebbe rivolto frasi del tipo: “Lo sappiamo che sei come tuo fratello ed è lì con te! Dimmi dove sei così ci parlo… pezzo di m. sb. che sei come lui… figlio di p. passamelo… perché ha fatto questa cosa… ha fatto arrestare tutte queste persone… poi se vi incontriamo di persona ne parliamo meglio!”.
Il pentito non prende il telefono
Avrebbe aggiunto che il clan aveva provato a contattare il pentito ma che lui non rispondeva. E in questo modo, tramite minacce, sperava di indurre Giarrizzo a ritrattare tutto. L’accusa, formulata adesso dalla Dda, è minaccia grave “e anche simbolica”. Ricceri, va sottolineato, è uno dei cinque arrestati con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.
È ritenuto vicinissimo a Pietro Giuseppe Lucifora, il presunto capo dell’organizzazione. Secondo quanto si legge nell’ordinanza del gip Simona Ragazzi, “la riconducibilità dell’azione al gruppo mafioso consta dalla natura di frase proferite a Giarrizzo ed è vieppiù dimostrata dalla circostanza che la stessa persona offesa ha denunciato di aver sentito la voce di almeno tre persone”.
Minacce “palesemente rivolte a esercitare pressione”
Peraltro il familiare del pentito ha detto di aver chiesto chi fosse al telefono, ma lui avrebbe aggiunto di non voler dire il nome, altrimenti lo avrebbe denunciato. Ma è stato scoperto ugualmente, secondo l’ipotesi della Procura distrettuale. La famiglia ha sporto denuncia. Le chiamate minatorie sono arrivate tutte di notte.
Le minacce, scrive il gip nell’ordinanza, “sono state palesemente rivolte ad esercitare una pressione indiretta sul collaboratore di giustizia”. E questo “affinché attraverso la minaccia di ritorsioni gravissime contro lui e i familiari, recedesse dalla collaborazione, ritrattasse le dichiarazioni rese e cessasse di alimentare indagini penali foriere di arresti per i membri del loro gruppo mafioso”.
Le accuse a carico di Ricceri
Tra le accuse che la Dda contesta a Ricceri c’è anche l’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata al traffico di cocaina, marijuana e hashish. E la ricettazione e il porto abusivo di pistole. Assieme ad altri due è ritenuto tra gli organizzatori e gestori delle piazze di spaccio.
Assieme ad altri, per l’accusa, si sarebbe occupato dei rifornimenti, di individuare e sostituire i vari spacciatori e di tenere i rapporti con questi. E ancora, di dirigere materialmente l’intera attività, dando ordini, direttive e disposizioni quanto al reperimento dello stupefacente da smerciare. Le direttive riguardavano inoltre infine, modalità, tempi, luoghi e prezzi delle cessioni dello stupefacente, nonché procedendo anche in prima persona a innumerevoli cessioni.

