Catania, la mostra contro le persecuzioni omosessuali negli anni 30

“L’isola degli arrusi”: storie di omosessuali catanesi al confino

Nella Catania degli anni Trenta, 45 omosessuali furono oggetto di persecuzioni durante il periodo fascista. Fino a domenica una mostra a Bologna rende omaggio a ognuno di loro.

CATANIA – In occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, che ricorre proprio oggi 17 maggio, il contenuto della mostra di Luana Rigolli non può passare inosservato.

“L’isola degli arrusi” è il titolo dell’esposizione che fino a questa domenica sarà visitabile presso palazzo d’Accursio a Bologna, perchè “arrusi” era il termine dispregiativo con cui venivano additati gli omosessuali in Sicilia e Catania negli anni ’30, indicando l’uomo che in genere nel rapporto sessuale assumeva il ruolo passivo.

La storia delle persecuzioni omosessuali

Proprio i passivi, infatti, furono i protagonisti delle persecuzioni nei primi due mesi nel 1939, quando quarantacinque omosessuali di Catania e di alcuni paesi della sua provincia furono arrestati e mandati al confino sull’isola di San Domino, Tremiti, a più di 700 km di distanza. In tutta Italia il regime fascista arrestò e mandò al confino centinaia di uomini la cui unica colpa era quella di essere omosessuali. Tra le varie province italiane, Catania spiccò per la quantità di arresti: il Questore della città, Alfonso Molina, si mostrò molto scrupoloso e ligio nella sua “caccia” agli omosessuali, escludendo tuttavia chi assumeva il ruolo attivo perché considerato “maschio”.

I 45 catanesi erano uomini tra i 18 e 54 anni, arrestati con l’accusa di “pederastia passiva”, un reato contro il buon costume e l’integrità della razza. Furono sottoposti a visite mediche invasive che ne attestassero la colpevolezza e mandati tutti al confino, che sarebbe durato cinque anni, a San Domino insieme ad una cinquantina di omosessuali provenienti dal resto d’Italia.

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Le storie dei quarantacinque omosessuali di Catania

L’isola degli arrusi – 45 uomini di Catania confinati alle Tremiti dal regime fascista. La loro unica colpa era quella di essere omosessuali. Un libro fotografico di 144 pagine, pubblicato prima su National Geographic Olanda e su una rivista tedesca denominata “Mare”, poi esposto in versione ridotta in alcune città italiane ma in forma completa l’opera esordisce soltanto lo scorso novembre all’istituto Italiano di cultura a Montreal ed ora a Bologna dal 10 al 21 maggio, a Palazzo d’Accursio (sede del Comune di Bologna).

La prima parte contiene le foto con cui l’autrice ripercorre le tappe della vicenda: la persecuzione, l’arresto e poi il successivo confino. Una seconda parte in cui l’immedesimazione diventa partecipe del vissuto, mostrandi il volto dei quarantacinque “colpevoli”, colpevoli di aver amato secondo propria natura.

Ciò che suggella l’opera è la trascrizione per ognuno di loro del verbale di arresto (compilato in modo sempre molto poco oggettivo dal questore della città) o di una delle lettere scritta dagli “arrusi” stessi per chiedere la grazia. Così si esprime il senso di disagio per un’altra delle tante persecuzioni, rappresentanti in quegli anni la quotidianità, la normalità. La “normalità” che ancora oggi, purtroppo, si associa con difficoltà al termine omosessualità ma di cui non riesce a tacere la fisiologica manifestazione.

L’ispirazione prima della mostra

“Sono, racconta l’autrice, una fotografa molto appassionata di storia, soprattutto del ’900, e di isole. Nel febbraio 2019, entrando in una libreria, mi sono imbattuta per caso in una copia de “La città e l’isola” di Goretti e Giartosio. Non conoscevo questa drammatica vicenda collettiva. Ma, immergendomi nella lettura del libro, ho subito pensato a una storia fotografica. Nell’autunno di quell’anno ho iniziato i miei viaggi con destinazione San Domino e, quindi, Catania. Nella città siciliana ho fotografato di notte i luoghi che i maschi omosessuali frequentavano, volendo così esprimere la situazione di clandestinità nella quale erano costretti a vivere. A San Domino, invece, ho realizzato gli scatti dei luoghi di confino tutti realizzati di giorno: era in quelle ore, infatti, che essi vivevano l’isola, in quanto la notte dovevano tassativamente restare nei cameroni”.

Oggi attraverso gli scatti in questo libro possiamo anche noi vivere la stessa esperienza di Luana, che dei confinati omosessuali catanesi ha fotografato le schede biografiche, i documenti riguardati l’arresto, le umilianti visite mediche e le richieste di grazia al Duce per evitare che vicende come questa si ripetano: “Come la storia degli omosessuali catanesi a San Domino ha colpito me che sono etero, così può colpire tante persone esterne al mondo Lgbt+. E la fotografia è, indubbiamente, mezzo immediato e quanto mai efficace, per arrivare a più persone possibili. È necessario ricordare quanto è accaduto solo meno di 90 anni fa, per non ricadere più negli stessi errori”.

Luana Rigolli

L’autrice della mostra sugli omosessuali di Catania perseguitati

“Sono originaria di Piacenza, ma mia mamma è della provincia di Messina (Roccalumera) e mi sento molto più siciliana che emiliana. Sicilia che amo e che spesso ritorna nei miei progetti fotografici” ci rivela Luana sulla sua identità. Luana Rigolli, nata a Piacenza nel 1983, attualmente vive a Roma ed è laureata in Ingegneria Civile ma dopo qualche anno di professione preferisce raccontare con la fotografia cosa la circonda piuttosto che modificare il paesaggio con altre opere di ingegneria. La sua ricerca fotografica si muove prestando attenzione all’analisi storica e all’interazione uomo-paesaggio. Espone i suoi lavori in diverse mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Ha pubblicato su varie riviste, come National Geographic, Mare, II Post, T Magazine del New York Times.

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