Catania, pentito accusato di calunnia: pm chiede condanna - Live Sicilia

Catania, pentito accusato di calunnia: pm chiede condanna

Il processo contro Giacomo Cosenza è arrivato al rush finale.
LA REQUISITORIA
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CATANIA – Condanna a cinque anni di reclusione. Il sostituto procuratore Santo Di Stefano non ha fatto sconti al collaboratore di giustizia Giacomo Cosenza accusato di calunnia nei confronti del sostituto commissario della Squadra Mobile Gaetano Buffo. La richiesta di pena alla terza sezione penale del Tribunale di Catania, presidente Rosa Alba Recupido, il magistrato l’ha formulata al termine della requisitoria in cui ha condensato un lunghissimo dibattimento dove sono stati sentiti poliziotti e investigatori utili a cristallizzare una brutta pagina di cronaca giudiziaria. Di Stefano è andato dritto al punto. Apre solo una parentesi sull’incipit di questa vicenda: che è il modo ‘poco ortodosso’ in cui l’ispettore Filippo Faro, il 4 novembre 2013 (e anche lui oggi sotto processo per calunnia e falso) all’epoca in servizio alla Dia, ha pungolato il collaboratore per sapere se ci fossero uomini delle istituzioni collusi. Ma per il magistrato il cuore del processo è composto dai due interrogatori che il collaboratore di giustizia rilascia davanti alla procura di Catania il 5 novembre e il 18 dicembre 2013. È lì che si consuma il reato – gravissimo – di calunnia nei confronti del poliziotto Gaetano Buffo. E non ci sono dubbi sulla persona, visto che quelle accuse calunniose – ha ribadito il pm – hanno portato all’apertura di un’indagine (come atto dovuto) che è stata archiviata dal gip per la “macroscopica infondatezza”.

Il collaboratore ha parlato “prima di un ispettore Tony con un soprannome”. Questo soprannome però – ha spiegato Di Stefano – l’imputato in un primo momento non lo conosceva. Alle ripetute domande ha risposto “Tony u sbirru, tony a guardia”. Poi “magicamente” se lo ricorderà nell’interrogatorio del 18 dicembre “testa nica”, ha segnalato il sostituto procuratore al Tribunale. Sono numerose le incongruenze, le contraddizioni, le anomalie nelle esternazioni di Cosenza. Che solamente quando si è aperto il processo ha cercato di rimescolare le carte dicendo che lui non ha mai fatto il nome di Buffo, a cui ha anche inviato una lettera di ‘scuse’. Per il magistrato però è una difesa un po’ tardiva: “Se così fosse stato, già durante gli interrogatori – dove è stato fatto il nome della parte offesa – avrebbe dovuto specificare che non si trattava di quella persona”.

Terminata la discussione del pm, l’avvocato del sostituto commissario Gaetano Buffo che si è costituito parte civile nel processo con il penalista Michele Ragonese, ha chiesto la condanna dell’imputato “nei termini di legge” e un risarcimento di 100 mila euro per i danni cagionati dalle calunnie di Cosenza. Anche il Ministero dell’Interno, con l’avvocato dello Stato Domenico Maimone, ha chiesto 100 mila euro di risarcimento. 

L’avvocato dell’imputato, Stefania Steri, ha chiesto invece l’assoluzione del suo assistito e in subordine la concessione delle attenuanti generiche. L’arringa difensiva si è aperta con un piccolo colpo di scena: la penalista romana ha tessuto le lodi del poliziotto Gaetano Buffo, oggetto delle calunnie contestate a Giacomo Cosenza. “L’ispettore Buffo è una istituzione nelle istituzioni perché l’ispettore Buffo è un appartenente al corpo della Polizia di Stato come pochi, il suo curriculum è denso di riconoscimenti e ricompense”, ha detto l’avvocato. La difesa ha puntato il dito sugli investigatori della Dia nella gestione delle prime dichiarazioni del collaboratore e sul magistrato che ha svolto il primo interrogatorio, che nonostante le richieste del suo assistito non lo ha sottoposto ad alcun riconoscimento fotografico. Steri ha parlato di “mancanze investigative” e di “atti istruttori che sono mancati”. 

Il processo, che si è aperto nel 2018, è stato rinviato a settembre per le repliche. E poi arriverà la sentenza. 


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