Catania, Sant'Agata: l'omelia dell'arcivescovo- Live Sicilia

Sant’Agata, l’omelia di Renna: “Sono pellegrino con voi”

Le parole dell'Arcivescovo ieri sera in Cattedrale
L'OSTENSIONE
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Quale sentimento ha attraversato il cuore del Protomartire Stefano mentre veniva lapidato? Gli Atti degli Apostoli testimoniano che erano gli stessi sentimenti di Cristo sulla croce, espressi nelle parole: “Signore Gesù, accogli il mio spirito” e “Signore, non imputare loro questo peccato” (At.7, 59-60). Quale sentimento ha attraversato il cuore di Agata, la nostra Santa martire, in mezzo alle torture prolungate e feroci a cui è stata sottoposta? Quello di chi ha offerto la sua testimonianza di amore a Cristo fino al sacrificio della vita e che l’ha portata ad esprimersi, prima di rendere lo spirito, con queste parole: “Ti ringrazio, o Signore, che mi hai resa degna di lottare, per il tuo nome. (…) rendimi degna di lasciare questo mondo e conseguire la tua grande misericordia”. Stefano, il primo martire, Agata , la martire di Catania: due esistenze che nella vita e nella morte, sono state illuminate dalla Pasqua di Cristo.

Eccellenza signor Prefetto, distinto signor Sindaco facente funzione, distinte autorità civili e militari, gentilissima Presidente del Comitato Sant’Agata, cari sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi, cari fedeli tutti, oggi siamo grati al Signore per aver potuto vivere il pellegrinaggio al busto reliquiario in cui l’effigie della Santa sembra riflettere, con il suo sguardo luminoso, la luce di Cristo risorto, causa e modello di ogni martirio.

Oggi anch’io sono stato pellegrino con voi, e varcando per la prima volta le porte dell’antico sacello, ho lasciato che quell’immagine che anelavate venerare dopo il periodo della pandemia, illuminasse anche il mio volto! Che cosa ho ammirato anzitutto? Non lo splendore delle gemme preziose, segno di riconoscenza dei devoti, ma la luminosità degli occhi e del sorriso di Sant’Agata, nella quale risplende la luce di Cristo Gesù, vincitore del peccato e della morte.

Solo domenica scorsa il Santo Padre Francesco canonizzava 12 nuovi beati e il Prefetto della Congregazione dei Santi, il cardinal Semeraro, in una intervista all’Osservatore Romano affermava: “Il filo conduttore che lega i santi è l’amore di Cristo e la sua Pasqua: hanno scelto il Signore e il suo Vangelo come fondamento della propria vita, e malgrado la Passione che ciascuno ha dovuto affrontare, si tratta di gente felice”. Sì, i martiri sono gente felice, ricchi non di una gioia passeggera, ma della beatitudine di cui Gesù ha detto: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.”(Mt 5,11-12)

Avevamo a lungo atteso questo momento dell’ostensione, ma non dimentichiamoci quello che abbiamo vissuto durante la pandemia. Facciamo memoria di chi in questi anni è morto di covid; ricordiamo con gratitudine medici, infermieri, forze dell’ordine, volontari e persone semplici, che hanno fatto grandi sacrifici per il bene della collettività. Non dimentichiamo quella sera del 27 marzo 2020, quando il successore di Pietro, davanti al Crocifisso battuto dalla pioggia, in una piazza san Piero deserta, ci ha invitati a rivolgerci al Signore, nostra speranza, ricordando che “siamo tutti sulla stessa barca”, e che dobbiamo saperci prendere cura gli uni degli altri.

Non dimentichiamo quelle ferite, ora che siamo risorti! Mentre oggi veniamo in pellegrinaggio a Sant’Agata, chiediamoci se la pandemia ci ha resi più umili di fronte alla vita e alla morte; se ci ha resi più solidali tra noi; se ci fa essere più responsabili verso il bene di tutti e verso la nostra casa comune che è il creato. A Sant’Agata chiediamo di non farci dimenticare quella grande lezione che, malgrado tutto, la pandemia è stata. La cosa peggiore che ci potrebbe capitare e non aver imparato nulla!

Ma chiediamole anche di saper vivere e morire come lei è vissuta ed è morta, con la consapevolezza che Cristo è il Vivente e che noi siamo chiamati a risorgere con Lui. I martiri non morivano per un morto, ma per Cristo che credevano, con la nostra stessa fede, che è Risorto! A noi, che tante volte viviamo come se il Signore Gesù fosse una personalità del passato, Agata insegna a considerare il Cristo nostro contemporaneo, perché “Egli, con i segni della Passione, vive immortale” (dalla liturgia). Se Cristo è risorto ed è vivo, tutto cambia nella nostra vita. Il Risorto è apparso ai suoi donando la pace: è il dono che fa ancora all’uomo del nostro tempo, ed è più urgente che mai! Ha mostrato i segni della Passione, per insegnarci che l’amore non deve aver timore del sacrificio. Ha camminato con i suoi discepoli, ha spezzato il Pane facendosi riconoscere vivo, e ancora oggi nella Parola e nell’Eucarestia si fa nostro cibo. Ed ha sostenuto, proprio perché Vivente, Stefano, poi Giacomo, Pietro e Giovanni, la nostra Agata e i martiri di ogni tempo, nelle prove della vita che attentano alla nostra esistenza pasquale. Riusciremo ad imparare la lezione del martirio di sant’Agata quando impareremo a perdere la vita per gli altri, per Cristo, riconoscendo che Egli è il Vivente, e non ci lascia mai soli anche quando sembriamo sconfitti come Lui.

Chiediamo di vivere una vita da risorti iniziando ad amare Dio e il prossimo, per poter essere la dimora vivente di Dio. Abbiamo ascoltato il Signore nel Vangelo proclamato: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. (Gv 14,23). A volte ci chiediamo dove è Dio, perché non riusciamo a vederlo in tante contraddizioni del nostro tempo, soprattutto nell’umanità che rende l’uomo feroce come un lupo verso il suo simile; ma abbiamo dimenticato che la potenza della risurrezione entra nel mondo quando amiamo come Gesù Cristo ama e camminiamo secondo la Sua Parola. Quando amo come Cristo, quando sono capace di perdonare, di donare, di farmi servo come Lui, il saluto del Risorto- Pace a voi-, risuona sulle nostre strade; quando lotto per la verità, la giustizia, la legalità e non mi trascino pigramente nella rassegnazione, sorge il sole di Pasqua su questo mondo invecchiato nel male; quando credo che l’amore di Cristo è più forte delle opere del maligno, frammenti di risurrezione entrano in un mondo segnato dalla morte.

Una santa martire africana del III secolo, Felicita, partorì in carcere, e a chi le chiedeva cosa avrebbe fatto di fronte alle fiere se ora si lamentava per le doglie del parto, rispose: “Ora sono io a soffrire ciò che soffro; là invece ci sarà in me un altro che soffrirà per me perché anch’io soffrirò per Lui.” Lo stesso si può dire Agata: in lei è stato Cristo stesso che ha sofferto, perché Egli ormai abitava in lei, donna pasquale, protesa alla risurrezione anche tra le torture. La nostra città ha bisogno di uomini e donne che facciano sì che il Signore dimori tra noi, di esistenze che siano il riflesso della Pasqua di Cristo, come quella di Sant’ Agata. Catania sarà salvata da Agata e da coloro che la imitano e non si limitano a venerarla in qualche giorno dell’anno. Da dove inizieremo? Non ci si improvvisa martiri, ma si comincia a divenire creature nuove e credibili a partire dalle piccole cose. Papa Francesco, nell’esortazione apostolica sulla santità, ci ha riportato alla concretezza della vita cristiana che richiede impegno e conversione quotidiane: “Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali.” (Gaudete et exultate, 14). Qualche giorno fa in Pescheria un gruppo di persone mi ha detto che sarebbe venuta a prendere la benedizione in Cattedrale: ed io ve la dono, la benedizione per imitare Sant’ Agata, non per sentirci sicuri che qualunque cosa facciamo, anche il male, è benedetto da Dio. La benedizione che vi do oggi è la benedizione pasquale, quella delle creature rinate nell’acqua del battesimo, che guardando sant’ Agata, sì impegnano a dire: “Voglio essere una creatura nuova anch’io”.

Il martirio continua ancora nel nostro tempo, quello che subisce chi è odiato per la sua fede, ma anche quello di uomini che hanno dato la vita per la giustizia e la legalità, che sono le forme in cui le virtù umane e cristiane vengono vissute nella società e nello Stato. Per questo a due giorni dal trentennale della strage di Capaci ricordiamo quelle vittime, consapevoli di quanto ci insegna il Concilio Vaticano II “…nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel cuore dell’uomo (…) Perciò la Chiesa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (Gaudium et Spes, 1).

La violenza che uccise Sant’Agata in odio alla sua fede, la cieca violenza che ha fatto brillare il tritolo a Capaci, sono della stessa matrice che odia i doni di Dio. Ma la potenza della Risurrezione illumina sia i martiri della fede, sia quelli del bene comune, e ci esorta ad essere uomini e donne che vogliono vivere e morire per l’amore di Cristo e per la giustizia degli uomini, per essere buoni cristiani ed onesti cittadini.


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