Catania, Scordia e il dissesto: |Il sindaco: "Scelta obbligata" - Live Sicilia

Catania, Scordia e il dissesto: |Il sindaco: “Scelta obbligata”

Scordia dichiara default nel 2014, Catania è sull'orlo del fallimento da 11 anni.

l'intervista
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SCORDIA – Come di fronte a un’epidemia, gli enti locali si stanno ammalando uno a uno. Senza che, almeno in apparenza, esista una “cura” se non tagliare tutto o dare forfait. Quella del dissesto, dichiarato o evitato con piani di riequilibrio difficili da rispettare, è un fenomeno che sta colpendo i Comuni, non tutti ma quasi, impossibilitati a fare quadrare i conti con i tagli, milionari, apportati negli ultimi anni, nei contributi stati e regionali. In Sicilia sono già numerosi gli enti costretti a dichiarare fallimento, di fronte all’impossibilità di rientrare del debito, tra questi Scordia dove, il sindaco Franco Tambone, dopo aver percorso in vano la strada per accedere al piano di rientro, nel novembre 2014 ha dichiarato il default, portando la delibera in Consiglio comunale.  Una scelta sofferta, come rivela lo stesso primo cittadino, ma necessaria per quanto dolorosa. Soprattutto per i cittadini. Lo abbiamo intervistato oggi, a un anno e mezzo dal fallimento economico del Comune, per capire cosa vuol dire governare in regime di dissesto.

Che significa amministrare un Comune in dissesto?

Beh, non è semplice. Bisogna procedere su due binari, come se si avessero due contabilità. Da un lato bisogna guardare il passato, per ottemperare al pagamento dei debiti, dall’altro al presente, cercando di mantenere una prospettiva futura. Non posso negare che sia complicato. Al di là del contributo ricevuto, il default deve essere pagato quasi interamente dal Comune, con le sue entrate: l’ente deve destinare le risorse per pagare i creditori e questo comporta non pochi problemi per quel che riguarda la gestione corrente, parte della quale deve essere impegnata per i servizi. Insomma, l’equilibrio è precario.

Quali sono le maggiori difficoltà?

Quelle di reperire le risorse proprie, per avere liquidità da spendere. Anche perché, il dissesto che abbiamo dichiarato alla fine del 2014, comporta che i residui attivi antecedenti a questa data (ovvero i crediti vantati dal Comune n.d.r.) debbano andare direttamente all’Organismo straordinario di liquidazione, oltre ad altre somme che vanno trasferite come cassa. Insomma, parte della liquidità è vincolata e questo provoca ritardi nei pagamenti, come è accaduto ad esempio, per i lavoratori della nettezza urbana.

Questo a livello economico. Per i cittadini, invece, cosa ha comportato?

Beh, con il regime di dissesto si possono garantire solo i servizi essenziali, per cui quelli a domanda individuale, ad esempio, ne risentono. Inoltre, per quanto riguarda il personale comunale, abbiamo proceduto con i prepensionamenti e non potremo assumere alcun dipendente fino al 2019. Questo, ovviamente, comporta che si continui a lavorare ma con il personale che c’è.

Cosa succede con i fornitori?

Siamo ancora nella fase di ricognizione della massa debitoria, che ammonta a una cifra che va dai 14 ai 20 milioni di euro. Dopo questa fase ricognitiva, si vedrà in che modo liquidare i creditori e le percentuali di quanto verrà loro pagato.

Lei stava per accedere al Piano di riequilibrio ma poi ha preferito dichiarare dissesto. Pentito?

Non c’era alternativa. Non c’era modo di affrontare il Piano di riequilibrio. Consapevole che il dissesto provoca gravi conseguenze, crea sofferenza e tensione sociale, non potevo fare altro. Nessun amministratore dichiarerebbe il default di fronte a condizioni che rendono possibile andare avanti. Noi non eravamo in grado, soprattutto quando, nel luglio 2014, una sentenza ci ha condannato a pagare 4 milioni per espropri eseguiti negli anni Ottanta. Questo rischio lo corrono tantissimi Comuni.

Il dissesto l’ha danneggiata politicamente?

Certo, il rischio è di essere ricordato come il sindaco del fallimento, ma i miei concittadini capiranno che, di fronte a una situazione gravissima a livello debitorio, è meglio fermarsi, prendere atto della realtà e affrontarla, piuttosto che nasconderla. Di fronte ai numeri c’è poco da fare e queste sono scelte che non si possono fare guardando a sé o alla propria carriera, ma a cittadini e per garantire il futuro dell’ente.

 

 


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