CATANIA – È la questione cardine di questi mesi. O, più correttamente, di questi anni. La concezione della sicurezza – attuata o percepita – resta una delle chiavi di volta nella narrazione di un dibattito che segna anche la quotidianità di Catania e del suo territorio.
Dalle recenti, consecutive e mirate sparatorie ai danni di attività commerciali all’omicidio del 40enne Alessandro Indurre al parcheggio di Corso Sicilia. Senza dimenticare a maggio scorso quello altrettanto cruento del 31enne Santo Re avvenuto in circostanze parecchio analoghe. Nel mezzo, le preoccupanti tensioni in atto tra i clan della mafia che reclamano per se stessi la gestione dello spaccio della droga su piazze e quartieri.
Tutti temi emersi anche nella recente seduta di consiglio comunale straordinaria.
La visita della Commissione parlamentare Antimafia ha rilanciato argomenti e interventi che – come sottolineato da più parti – riguardano comunque le stesse criticità di altre grandi città. Nel frattempo, ci si interroga su quali dovrebbero essere le risposte più immediate ed efficaci.
“Le piazze di spaccio rappresentano il bancomat della criminalità organizzata. In una città di Catania dove nell’ultimo mese si è contato il recupero di 146 bossoli e cartucce”, ha detto nel corso della conferenza stampa a Palazzo degli elefanti, la presidente della Commissione Chiara Colosimo.
In questo contesto, chiedere che le forze dell’ordine possano affrontare tutti i cambiamenti sociali è una pretesa che appare esagerata. C’è una geopolitica del crimine che sembra essere cambiata. Ed un radicamento della malavita organizzata che è in continua fibrillazione ma anche (pare un controsenso) in ‘evoluzione’.
Ecco perché quello della sicurezza a Catania resta un tema complesso. Anche in riferimento ad un disagio giovanile che dalla dispersione scolastica sfocia fino alla manovalanza assoldata dagli apparati della malavita.
Eppure, la speranza continua a sopravvivere. Le recenti parole del Procuratore Capo, Francesco Curcio, indicano una strada ben precisa: quella di continuare a vigilare sulla “mafia degli appalti e di contrastare ad ogni modo l’arrivo dei telefoni cellulari ai boss in carcere da dove impartiscono gli ordini”. Tanto per dirne una.
Così come quel corposo finanziamento da oltre 20 milioni destinato a Catania attraverso il cosiddetto Decreto Caivano. Sono tutti interventi destinati per San Cristoforo. In un dibattito accesosi sull’utilità di dare vita a nuove costruzioni e ad altro cemento a scapito di progetti sociali.
Anche tutto questo ha a che fare con la sicurezza. Sarebbe un peccato mortale perdere un’opportunità di questa portata.

