PALERMO – Il sequestro riguarda il capostipite ormai deceduto, ma colpisce, a cascata, gli eredi di una delle più note famiglie di imprenditori palermitani. E si tratta di un mega sequestro. I beni di Vincenzo Rappa valgono 800 milioni di euro. Il provvedimento, deciso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, arriva su proposta della Direzione investigativa antimafia.
Sono stati gli investigatori della Dia, coordinati dal direttore nazionale Arturo De Felice, e dal capo centro di Palermo, Giuseppe D’Agata, a fare lo screening dei beni dei Rappa. Sotto sequestro sono finiti ville, edifici, terreni, l’emittente televisiva Trm, la concessionaria di pubblicità Pubblimed, le concessionarie di auto, con sede a Isola delle Femmine e Catania, che commercializzano marchi di lusso come Bmw, Mini e Jaguar. Gli eredi di Rappa sono stati invitati a comparire all’udienza del prossimo 12 giugno davanti al Tribunale presieduto da Silvana Saguto. Si tratta di Filippo Rappa (figlio di Vincenzo), e dei nipoti Sergio, Vincenzo, Vincenzo Corrado e Gabriele. Nessuna replica da parte loro, anche perché, si limita a dire l’avvocato Raffaele Bonsignore, “non siamo ancora in possesso del decreto di sequestro e dunque non ne conosciamo il contenuto”. Nessuno degli eredi Rappa è indagato.
Rappa senior era stato condannato, con sentenza definitiva, a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Come previsto dalla legge sulle misure di prevenzione gli investigatori avevano cinque anni di tempo per estendere le indagini agli eredi. Scadenza prevista proprio in questi giorni. Ed è arrivato il provvedimento di sequestro deciso dal Tribunale, che ha affidato l’amministrazione giudiziaria dei beni e delle società (che proseguono regolarmente l’attività) all’amministratore Walter Virga.
Secondo le accuse, che ressero al vaglio dei tre gradi giudizio, Rappa senior era la tipica figura dell’imprenditore in affari con Cosa nostra. Aveva seguito la metamorfosi della stessa organizzazione criminale. Rappa, quando si occupava ancora solo di edilizia, era uno dei tanti imprenditori costretti a pagare il pizzo. Poi, quando i boss capirono che con il cemento si potevano fare soldi a palate, ecco che il costruttore nativo di Borgetto, come tanti altri, sarebbe diventato uno dei soggetti con cui fare il salto di qualità. La mafia voleva farsi imprenditrice. E così Rappa, secondo l’accusa, divenne il punto di rifermento per potenti famiglie mafiose come quelle della Noce (in particolare con il capomafia Raffaele Ganci), di Resuttana e dell’Acquasanta. A mediare i rapporti fu Ciccio Rappa (solo omonimo dell’imprenditore), storico boss di Borgetto. Quindi si aggiunsero pure le dichiarazioni dei pentiti Caloggero Ganci, Giovanni Brusca, Francesco Paolo Anzelmo e Salvatore Cancemi. In primo grado Rappa fu condannato per concorso esterno a otto anni, che divennero quattro in appello.
La Cassazione rese definitiva la sentenza. All’indomani del sigillo dei supremi giudici sono iniziate le indagini sul patrimonio di Rappa. Gli agenti della Dia avrebbero ricostruito quello che nel provvedimento di sequestro viene descritto come “un esercito di attività di impresa” che avrebbe beneficiato del “rapporto preferenziale instaurato con Cosa nostra”. E così si è arrivati al sequestro che una sfilza di beni, fra cui Impresa Vincenzo Rappa, Villa Heloise costruzioni, Cipedil, Fin Med Spa, Med Group, Radio day, Gei Generali imprese, Benso Costruzioni, Auto Ra.Ma, Telemed, Pubblimed, Crc società cooperativa, Sicilia 7 srl, Simsider, I.R.S.A.L.AInsomma, secondo l’accusa, lo sterminato patrimonio accumulato da Rappa, e passato in eredità a figlio e nipoti, sarebbe viziato dagli originari rapporti fra il costruttore e Cosa nostra.