Antonio Di Pietro è atteso a Palermo, per l’inaugurazione di una nuova sede (ma alla fine ha dato forfait), con annessa conferenza stampa. C’è tanta gente che lo applaudirà, secondo un fil rosso semplice da individuare. Per molti anti-berlusconiani è una risorsa, tra Vendola, incartato nel Vendolismo, e Bersani-Gargamella. Di Pietro è il segmento logico che rinnova la famosa scuola orlandiana del sospetto come anticamera della verità. E’ il magistrato al cui cospetto si inchinarono i satrapi della Prima Repubblica, ora politico visibile e accorto.
L’Italia deglutì con gioioso stupore davanti al processo in Tv. C’era Forlani, con la bava alla bocca e l’espressione di lepre presa in trappola. La televisione moviolizzò ogni istante del terrore del potere, preso con le mani nel sacco. Nell’aula di tribunale esposta all’occhio del mondo, per i giudici contarono le prove. Per tutti gli altri prevalse il fatto simbolico. La Corte dei miracoli in ginocchio. La giustizia retta da una sorta di “Cincinnato”, parole di Montanelli che stimava molto Tonino.
A riguardare quegli antichi (ormai) fotogrammi, qualcuno prova uggia e malinconia. Qualcun altro è morto, nel frattempo. L’era di “Mani pulite” ha consumato la sua epica, col suo bravo “Terrore”, inghiottendo vite e volti di cui nulla sapremo. Le rivoluzioni sono illusioni pericolose, perché lasciano, alla fine dei giochi, lo scenario del giorno prima, dopo folli ubriacature di adrenalina e sangue. Le rivolte per via giudiziaria – a prescindere dal merito – sono poi una dannazione. Oggi dobbiamo porci domande cruciali sul senso di quella stagione e sul futuro che ha consegnato al Paese. E se il trapasso fosse stato più dolce? Se la transizione avesse incardinato uno strappo meno deciso? Non è mai un buon affare quando il finale di una vicenda collettiva è materia da plasmare nelle mani di un giudice, anche se è uno bravo e coscienzioso. Nei codici non c’è la risposta al quesito che interessa davvero, l’interpretazione onesta- né indulgente, né forcaiola – di una storia pubblica. Noi guardiamo con orrore lo spettacolo offerto dai parlamentari della Repubblica. E, con un sussulto intimo, proviamo nostalgia per i discorsi di Bettino Craxi.
Nel frattempo, Tonino Di Pietro è diventato il castigamatti e ne ha fatta di strada. E’ un uomo astuto. Ha radunato una ciurma d’assalto. Di Pietro sa che il sospetto come anticamera di un’avventura è dote sufficiente per andare avanti, incantando un popolo, senza bisogno di dare un contenuto politico, uno straccio di programma. E ogni sera, prega il suoi santi campagnoli affinché gli conservino Berlusconi, vivo, vegeto e in campo. Cosa mai sarebbe Tonino senza Silvio?