CATANIA – Sentenza di non luogo a procedere per prescrizione dei reati. Si chiude così, davanti al giudice della terza sezione penale del Tribunale di Catania, Santino Mirabella, il processo sulla realizzazione del palazzo ritenuto abusivo di via Monte Arsi a Gravina di Catania a carico dei titolari dell’immobile e dei colletti bianchi dell’amministrazione gravinese. Per i tredici imputati le accuse, a vario titolo, erano di abuso di ufficio, abuso edilizio e falso in atti pubblici. Fra rinvii, difetti di notifica e impantanamenti giudiziari il procedimento, sostanzialmente mai iniziato, giunge, dunque, al termine senza che sia mai stata stabilita alcuna verità giudiziaria sullo quello scandalo scoppiato nel lontano 2011. I reati contestati dalla Procura generale sono in realtà caduti in prescrizione già da diverso tempo, eccetto il falso ideologico che ha tenuto in piedi il processo fino allo scorso ottobre, allorquando anche per quest’ultimo capo d’imputazione sono maturati i tempi di prescrizione. Nessuno dei tredici imputati ha infine deciso di rinunciarvi. Adesso, si dovranno attendere novanta giorni per conoscere l’esito delle motivazioni.
L’INCHIESTA – A dare avvio alle indagini nel 2009 furono i continui esposti presentati in Procura da una residente di Gravina, la cui abitazione era vicina al manufatto eretto su una zona agricola. La richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli indagati viene presentata nel 2011 dal Procuratore generale Salvatore Scalia che aveva avocato il fascicolo nel 2010. Per l’accusa l’immobile era stato realizzato grazie alla compiacenza dei dipendenti che avrebbero approvato il progetto finalizzato alla ristrutturazione di un vecchio deposito agricolo in un’area protetta e sottoposta a vincolo paesaggistico. Secondo l’accusa formulata dal Pg la commissione edilizia avrebbe approvato, tramite il rilascio della concessione 8/2008, un progetto finalizzato alla ristrutturazione di un vecchio deposito agricolo in un’area protetta e sottoposta a vincolo paesaggistico. Un progetto però che, per la procura, non avrebbe potuto essere avallato dalla commissione comunale prevedendo in realtà la realizzazione di un mega palazzo diverso dal preesistente, non solo nell’aspetto e nella cubatura, ma anche nella destinazione d’uso, che da agricola si trasformava in attività commerciale con tanto di uffici. L’immobile costruito non risultava, dunque, uguale al preesistente. Per la procura generale, la commissione e i tecnici del Comune avrebbero agito in maniera illegittima con lo scopo di favorire i titolari procurando loro un “ingiusto vantaggio economico”.
LA DIFESA – In questi anni i legali dei vari imputati hanno sempre respinto ogni accusa spiegando che in realtà la concessione edilizia del 2008 sarebbe stata rilasciata in ragione di un provvedimento sanatorio datato 2000. Un documento, dunque, che – secondo i collegi difensivi – contemplava per quel deposito agricolo già anche la destinazione d’uso commerciale.
Come se non bastasse il palazzo esiste ancora, e versa in condizioni di totale abbandono nonostante sia stato già dissequestrato da diverso tempo. Il Comune non avrebbe ancora preso alcuna decisione in merito alla vicenda.