C'era una volta - Live Sicilia

C’era una volta

Fino a pochi mesi fa era il fiore all'occhiello della giunta. Il simbolo dell'antimafia nell'esecutivo. Ma Nicolò Marino ha smontato l'immagine "rivoluzionaria" del governo Crocetta. Che abbia torto o ragione, resta l'immagine di una favola già finita. O mai davvero iniziata.

PALERMO – “Qualcuno vuole forse discutere un pm antimafia come Nicolò Marino?”. Rosario Crocetta viveva i momenti d’oro del post-elezione. Da pochi giorni era il nuovo presidente della Regione. Da poche ore aveva iniziato a raccontare la favola della rivoluzione. “Incontrerò stasera – svelava in una nota ufficiale il governatore, l’8 novembre del 2012 – il procuratore antimafia della Dda di Caltanissetta, Nicolò Marino, per chiedergli di fare parte della squadra di governo come assessore, in un ruolo strategico. Intendo così rafforzare e ribadire il ruolo antimafia netto della giunta Crocetta”. E in effetti, in quella nota di appena quatto righe, la parola “antimafia” viene ripetuta due volte. Quel pm antimafia, pochi giorni fa, ha raccontato però che l’antimafia di Crocetta è diventata poco più di una finzione. Una “millanteria”.

Nel giorno della presentazione di Marino, Crocetta stringe la mano da un lato all’ex pm, dall’altro a Linda Vancheri, assessore in ‘quota Confindustria’. “Marino – raccontava il governatore in quei giorni – conosce bene i rapporti tra impresa e mafia. Con lui vogliamo portare avanti iniziative importanti, per esempio nell’infiltrazione della mafia nel settore dei rifiuti. Ma anche in altri settori, dalla Sanità allo spettacolo. Avere un Pm in giunta di questo coraggio mi sembra importante”. Una giornata immortalata nella foto a corredo di questo articolo. Sembra passato un secolo dall’inizio di quella favola.

Era la favola della rivoluzione. Della legalità. Che oggi appaiono come ingredienti utili – e utilizzati ormai dai cuochi più impensabili e improvvisati – a dare sapore a un piatto insipido. Quello di un governo impacciato, confusionario, immobile. Che Marino abbia ragione o abbia torto, poco importa. Perché al centro di tutto non c’è Marino. C’è Rosario Crocetta. Il cantore di quella favola. L’aedo di questa epica del caterpillar, dell’annientamento di ciò che fu in passato. E che invece sembra star su ancora molto bene.

Crocetta ha commesso un errore, in un modo o nell’altro. Se quello che ha raccontato Marino corrisponde al vero, infatti, il governatore è il protagonista di una “impostura”. Di un racconto intriso di falsità, servito ai siciliani già sufficientemente debilitati dalla storia di due governatori coinvolti in storiacce di mafia. Ma anche se quelle di Marino fossero solo parole dettate dal livore, dall’astio per una cacciata inattesa, forse, qualche mese fa, resta il quesito: perché Crocetta ha scelto quel pm? Perché lo ha presentato, affermando di conoscerlo già da tempo, come il simbolo della svolta legalitaria della sua giunta, per poi accorgersi, pochi mesi dopo, che si trattava di un amministratore favorevole agli affari sull’Eolico tanto interessanti per Cosa nostra, ostile alla presenza di certi rami della Confindustria antimafia nella vita quotidiana del governo, persino lanciato verso una carriera politica tra le fila di quel centrodestra nei confronti del quale andava tracciata una linea di demarcazione chiara? Se ne è accorto adesso Crocetta? O, molto semplicemente, nella necessità di raccontare la favola della rivoluzione quel pm tornava molto utile? Era, in fondo, un “pm antimafia” diceva allora Crocetta. Difficile dargli torto, visto che Marino ha preso parte anche alle indagini sulle stragi del ’92. E adesso? Adesso che l’ha cacciato?

Il sospetto, in realtà, che quella della rivoluzione fosse solo una storiella, del resto, era desumibile già in passato. “Qualcuno può mettere in discussione la personalità di uno come Marino?” Diceva allora Crocetta. E aggiungeva: “O di un grande artista come Franco Battiato o di un grande scienziato come Antonio Zichichi?”. Cacciati, anche questi due, a causa della frase infelice di un artista che si è sempre reputato tale fin dai primi giorni (“mica mi posso occupare di burocrazia, io sono un creativo”) o per l’assenteismo di uno studioso che non ha mai assicurato la presenza costante in Sicilia, impegnato com’era negli esperimenti ginevrini. Ma le prime incongruenze della favola non erano tanto legate alla scelta di cacciare Battiato e Zichichi. Quanto all’ingresso in campo dei “sostituti”. La rivoluzione degli “intellettuali” ha presto lasciato il campo a quello delle segretarie e dei rincalzi, Stancheris e Sgarlata (candidata non eletta col Megafono). La rivoluzione del cambiamento ha lasciato il posto a quello della conferma delle solite facce. La rivoluzione della rottura col passato ha scelto la strada dell’alleanza con i rappresentanti più illustri di quel passato. La rivoluzione della Sicilia si è tradotta nella proliferazione dei commissariamenti, come avveniva esattamente nel passato. Fino ai giorni nostri.

Quando il “pm antimafia”, il fiore all’occhiello di quella giunta, toglie – a torto o a ragione – la maschera al governatore. Che risponde, nelle ore immediatamente successive, con un governo che fa impallidire il manuale Cencelli. Che calibra le presenze in giunta non tanto sui partiti ma persino sui pezzi dei partiti. Assessori “tanto al chilo”, al posto degli uscenti. Che una volta furono l’orgoglio del presidente. Nei giorni in cui raccontava la favola della rivoluzione, dell’antimafia ridotta ormai a una banalità di presunte intimidazioni, di denunce vaghe e sommarie, di ostracismi mediatici e di doppipesismi morali ed etici. Come ha raccontato il pm antimafia scelto da Crocetta. “Qualcuno vuole mettere in discussione uno come Marino?” diceva allora il presidente della rivoluzione. Una rivoluzione già finita. O forse, a pensarci bene, mai iniziata.


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