PALERMO – “Per me Carlo era un fratello. Siamo cresciuti insieme, avevamo un rapporto speciale. Come potevo ucciderlo?”, dice Pietro Ferrara. Per dodici ore, ieri davanti alla Corte di Assise di Palermo, risponde prima alle domande del suo avvocato, Accursio Gagliano, e poi del pubblico ministero Alfredo Gagliardi.
Attento, pacato, minuzioso nel racconto. Ad ascoltare le sue parole, nel gabbiotto di vetro, c’è Luana Cammalleri. Sono imputati dell’omicidio di Carlo La Duca, marito di lei e miglior amico di lui.
Secondo l’accusa, i due avevano una relazione clandestina e misero in atto il piano per sbarazzarsi della vittima, il cui corpo non è stato ritrovato. È sparito nel nulla il 31 gennaio 2019. Una cosa è certa e lo ammette Ferrara: La Duca dopo essere uscito dalla sua casa di Cerda, paese dove gestiva una piccola azienda agricola, ha incontrato Ferrara nella campagna di quest’ultimo, nel rione palermitano di Ciaculli. Ed ecco la tesi dell’accusa: lo hanno ucciso in quel posto e poi hanno fatto sparire il cadavere.
Ferrara era amico di La Duca, ma è diventato l’amante della moglie. “Erano già separati in casa”, spiega. Nessuno, neppure i carabinieri, sapeva della “relazione clandestina”, emersa “riascoltando le intercettazioni”. Poi entra nel dettaglio del giorno della scomparsa di Carlo. “È passato da me. Mi ha detto che aveva un appuntamento a Palermo con alcune persone di un consorzio agricolo per impiantare un mandorleto. Gli ho detto di stare attento alle truffe. È andato via verso le 11 meno dieci”.
Fuori ad attenderlo c’era la moglie appostata: “Mi ha detto che lo aveva seguito per tutta la città fino al luogo dove è stata trovata la macchina (nel rione Cruillas) e qui ha visto Carlo che parlava con tre uomini. Temeva di essere vista ed è tornata a casa”. Perché la donna seguiva il marito? Cosa disse a Ferrara? “Voleva sapere se avesse una relazione, come spendesse i soldi per avere una separazione più favorevole per lei. Aveva pure preso un investigatore privato”.
Passano le ore. Di Carlo non ci sono tracce. Si preoccupano tutti. Qui interviene il presidente della Corte, Sergio Gulotta: perché tacere dell’incontro fra Carlo e i tre uomini che poteva essere decisivo per aiutarlo qualora fosse davvero finito in pericolo? “Ho detto a Luana di non dire niente. Mi spaventavo per lei, per le ritorsioni di queste persone. Lei viveva da sola con due figli. Le ho detto ‘dimentica questa cosa, non la dire'”. Quando seppe che Luana aveva pedinato il marito, racconta l’amante, “mi sono arrabbiato, mi dice che Carlo non le dà il mantenimento”.
Anche Ferrara nascose il suo incontro della mattina con Carlo La Duca. Rispondendo alle domande del suo avvocato, Accursio Gagliano, l’imputato spiega: “All’inizio non ho detto nulla (poi lo denunciò ai carabinieri, ndr) perché Carlo me lo aveva chiesto. Volevo tenere fede alla sua richiesta. Mi dicevo, domani torna”. Ed invece non è tornato, inghiottito in un buco nero.
Ferrara cita luoghi, indirizzi, nomi. Non perde la lucidità. Dimostra di ricordare ogni intercettazione presente nel fascicolo. Compresa quella in cui era durissimo con Carlo La Duca. Erano amici, ha detto, eppure lo appellava con rabbia “pezzo di m…”. Anche per queste parole l’imputato ha una giustificazione: “L’ho detto quando Luana mi ha raccontato che Carlo la maltrattava, quando beveva e la picchiava”.
Si torna in aula il 21 novembre. Toccherà a Luana Cammalleri sottoporsi all’esame del suo avvocato, Giovanni Marchese, e al controesame dei pubblici ministeri Alfredo Gagliardi e Luisa Vittoria Campanile.