PALERMO – Quando, due legislature fa, imperversava a Sala d’Ercole, i colleghi lo chiamavano ironicamente “Scateno”. Per quella sua tendenza alla protesta sopra le righe. Rimase negli annali la sua conferenza stampa a Palazzo dei Normanni, ignudo e avvolto dalla bandiera della Trinacria con un Pinocchio in mano, in polemica con Gianfranco Miccichè. È il vulcanico Cateno De Luca, finito agli arresti al calcio d’inizio della legislatura con l’accusa d’i evasione fiscale.
Ha 45 anni, fa politica da quando aveva i pantaloncini corti, allattato a pane e Dc. È stato sindaco del suo paese, Fiumedinisi, e poi di Santa Teresa Riva. Ma già stava scaldando i motori, da un pezzo, per presentarsi a sindaco di Messina. Candidato sempre, a tutto, accompagnato dal movimento da lui stesso fondato, “Sicilia Vera” (dopo la militanza nell’Mpa), a cui l’Udc ha aperto le porte in queste Regionali. Nello Musumeci si presentò insieme a lui a Palermo per benedire quest’accordo in un evento pubblico il 16 settembre scorso. Allora, Cateno era già tra gli “impresentabili” secondo i 5 Stelle, per via della vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto da tempo, un processo, arrivato alle battute finali, per fatti relativi alla gestione del Comune di Fiumedinisi. Fatti che gli costarono già un primo arresto, quando era deputato regionale.
Si candidò anche a presidente della Regione, mutuando come slogan la battuta che circolava all’Ars, appunto “Scateno De Luca”. Non arrivò al due per cento. Domenica per le Regionali ha raccolto più di cinquemila voti, che gli hanno aperto le porte dell’Ars. Ma ora tra Cateno e Palazzo dei Normanni ancora una volta si frappone un’inchiesta giudiziaria.
