PALERMO – Il nuovo pianeta sul quale siamo stati catapultati senza la giusta preparazione e senza comprendere appieno la portata del cambiamento si chiama Infosfera.
Il neologismo, composto dal confisso info premesso al sostantivo sfera, che definisce l’insieme dei mezzi di comunicazione e delle informazioni che essi producono in un nuovo ambiente, sinonimo della realtà stessa, è stato teorizzato come spazio informativo dell’era digitale da Luciano Floridi, docente a Oxford di Filosofia ed Etica dell’informazione. Nei saggi La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, del 2017, Pensare l’infosfera, del 2020, fino a Etica dell’intelligenza artificiale, del 2022, il filosofo affronta il tema cruciale dell’intelligenza artificiale e delle sue sfide etiche.
L’Infosfera è un ambiente nel quale viene abbattuta la distinzione tra reale e virtuale; coesistono intelligenze biologiche e artefatti ingegnerizzati; gli strumenti tecnologici interagiscono; l’ambito dei soggetti umani è composto non da “persone” ma da “utenti”; tuttavia, in modo sorprendente, dalla riflessione sul digitale che Floridi conduce da anni, emerge come l’oggetto dell’indagine debba essere, in realtà, quanto di più consustanziale all’uomo: la filosofia. O meglio, la rivitalizzazione della pratica filosofica.
La filosofia è, per definizione, passione per il sapere; ne discende che per “fare filosofia” occorra “porre le domande giuste al momento giusto e offrire le risposte corrette, anche se spiacevoli e impopolari”. La nostra società sta affrontando un trasformazione così radicale da poter parlare di una “quarta rivoluzione”, non nella accezione di rivoluzione industriale operata dall’intelligenza artificiale (che seguirebbe quelle del motore a vapore, dell’elettricità e dell’informatica); piuttosto, di rivoluzione nella comprensione di noi stessi. E, in questo senso, arriva quarta rispetto alle tre “rivoluzioni dell’essere” declinate da Sigmund Freud. Dopo la prima, avvenuta nel XVI secolo grazie a Copernico, né la Terra, né l’Uomo, erano più al centro dell’universo; la seconda, ad opera di Charles Darwin e della teoria dell’evoluzione delle specie, provocava la crisi dell’antropocentrismo; infine, quando restava all’essere pensante soltanto il dominio della ragione, la terza rivoluzione, quella freudiana, spostava il centro di gravità dell’individuo dalla coscienza all’inconscio.
E la quarta rivoluzione, determinata dal ruolo del digitale nelle nostre vite, segna una ulteriore perdita di centralità dell’uomo: “tra intelligenze artificiali che sconfiggono i campioni mondiali di scacchi, di Go e di innumerevoli altri giochi, e che stanno gradualmente imparando a guidare le automobili o a diagnosticare malattie, anche la certezza di essere superiori a chiunque altro nelle attività intellettuali è stata messa in dubbio”.
Nella società dell’informazione, il ruolo dominante appartiene non più alla produzione di beni materiali, ma alla sfera informativa che ci circonda costantemente; il termine onlife, crasi di online e life, rispecchia la crescente pervasività della tecnologia che, secondo Floridi, ha operato “lo sfocamento della distinzione tra reale e virtuale; della distinzione tra umano, macchina e natura; l’inversione dalla scarsità dell’informazione all’abbondanza dell’informazione e il passaggio dal primato delle entità al primato delle interazioni”.
E per affrontare quest’autentica rivoluzione, della filosofia abbiamo un disperato bisogno. Viviamo sempre “onlife”, conducendo un’esistenza ibrida tra reale e digitale che condiziona le relazioni sociali, affettive, lavorative ed economiche, travolti da mutamenti epocali. Dar vita a una nuova filosofia, all’altezza del reale, che possa sostenerci nell’affrontare l’era digitale, che torni a dare struttura ed efficacia al nostro modo di agire, che abbia implicazioni nell’etica e nella politica, e che individui le scelte che quest’ultima rivoluzione ci imporrà di fare, si potrebbe tradurre nell’ideare un nuovo habitat umano. Floridi auspica una sinergia di pensiero per costruire questo rinnovato sapere, capace di stare al passo con la storia, con il compito di “disegnare, proporre e valutare risposte convincenti e chiarificatrici”. In sostanza, sotto l’impulso dell’incombente tecnologia, la filosofia non può solo formulare domande, ma deve anche dare buone risposte.
Siamo a un assioma marzulliano? Se riprendessimo le fila dell’umano discorso dal chi sono, da dove vengo e, soprattutto, dove vado, e volessimo mostrare almeno un minimo di obiettività (visto che il lemma “fratellanza” è desueto), dovremmo volgere il pensiero a tutte le disomogeneità, le diseguaglianze e le barriere di accesso alle tecnologie che non possiamo più ignorare, in quanto, in tempi recenti, la pandemia le ha svelate al mondo, mostrando gli esclusi dell’onlife. Cosa ne sarà dei non geolocalizzati all’interno dell’universo digitale? Coloro che non accedono a reti di nessun tipo, rischiano di rimanere privi di ogni forma di servizio?
1964: Herbert Marcuse affermava, nel memorabile incipit de L’Uomo a una dimensione, che “una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico”, ed enucleava il “sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili”, che rimanevano al di fuori del processo democratico.
Sessant’anni dopo, restano ai margini di tutto gli ultimi della Terra. Con una lucidità che sfiorava la premonizione, Marcuse scriveva: “La società tecnologica avanzata tende a diventare totalitaria nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali”, aggiungendo che attraverso la tecnologia si possono creare forme di controllo sociale più efficaci e più piacevoli. Oggi sono in atto numerose quanto sofisticate forme di controllo individuale e collettive, esercitate mediante forme di coesione sociale molto efficaci e piacevoli come profetizzato dal filosofo tedesco, che Internet, i social, le piattaforme digitali incessantemente offrono spingendo il consesso sociale, di volta in volta, in varie direzioni, senza troppi vincoli, ma anche senza tanti controlli. Se la democrazia ne soffrisse, di chi sarebbe il problema? La razionalità tecnologica, che ha sviluppato un potenziale di libertà umana, quali “interessi” serve?
E se per il pensatore marxista la risposta risiede nella logica di dominio del potere, da un punto di vista ideologicamente opposto non è meno forte la dichiarazione del Cardinal Ravasi sul progresso (“la rete è questa, eppure bisogna esserci”) e sulle condizioni attuali di stupidità e volgarità, macerie del nostro tempo. La vera rivoluzione, asserisce il Ministro della Cultura del Vaticano, “è che si è creato un nuovo ambiente, l’infosfera, un nuovo mondo a cui non ci si può sottrarre. Dovremmo fare in modo di non adeguarci alle derive e di non farci condizionare: pensiamo a cosa riescono a fare i grandi gestori delle reti informatiche nei confronti degli utenti”.
Se ci pensassimo bene, forse distoglieremmo inorriditi il pensiero. Ravasi cita Mario Luzi e l’immagine poetica del bulbo della speranza, affermando che se la distruzione è una tentazione quasi comprensibile, il compito più faticoso è cominciare a scavare per rintracciare i germi vitali della società.
Le due visioni cui abbiamo fatto riferimento sono pessimistiche e, paradossalmente, quella dell’uomo di chiesa appare ancor più apocalittica, forse per il gap temporale intercorso. Chissà se sia il momento di chiedere soccorso alla Poesia e di sperare in una rinascita: “Il bulbo della speranza/che ora è occultato sotto il suolo/ ingombro di macerie/ non muoia,/ in attesa di fiorire alla prima primavera”.