Chi scrive mafia=sbirri - Live Sicilia

Chi scrive mafia=sbirri

Una scritta. Mafia=sbirri. Cosa vuol dire? Chi c'è dietro? Ecco una plausibile ricostruzione. Partendo, come sempre, dalle parole.

PALERMO- Mi piace aprire la mia riflessione con un complimento al lettore di Livesicilia che ha tentato, prima di me, un’interpretazione della misteriosa scritta apparsa sul muro della stazione di Piraineto qualche giorno fa: bravo, il tuo commento mi sembra una simpatica riprova che i lettori del giornale “non stanno solo a guardare” (come ci ha instancabilmente ripetuto la nota campagna di qualche mese fa) e che una buona alternativa alla passività dei guardoni possa proprio essere la pervicace pratica dell’interpretazione.

Bene. Cosa vorrà proclamare l’ignoto autore della scritta indicando una inaspettata affinità fra mafia e ‘sbirri’? Una prima avvertenza è che l’enigma non ha una soluzione: è impossibile – proprio perché si tratta di una frase volutamente sibillina – dalla sola scritta risalire al suo bersaglio polemico, intendere contro chi la scandalosa equivalenza sia provocatoriamente esibita. Non si può, infatti, stabilire, così a tavolino, la collocazione del nostro writer nel conflitto fra i due eserciti in lotta: potremmo immaginarlo malvivente amareggiato, deluso di come l’organizzazione non sia più ruspante e coesa come ai bei vecchi tempi (intendendo dire, allora, qualcosa tipo “tutti i mafiosi sono ‘sbirri’”: cosa c’è di peggio di dare dello ‘sbirro’ a un mafioso?). Con la stessa legittimità, potremmo, però, immaginarlo poliziotto troppe volte umiliato dalle tante contraddizioni in cui si muove la tutela dell’ordine in città (“tutti gli ‘sbirri’ sono mafiosi”: cosa c’è di peggio di dare del mafioso a uno ‘sbirro’?). Nulla vieta poi di immaginarlo come spettatore terzo di questo scontro, inseguitore delle isolane dietrologie (“in Sicilia, mafia e stato sono la stessa cosa!”). Qualunque di queste prospettive preferiate, tutti questi personaggi, così velocemente tracciati, possiedono un nucleo identitario comune: sono indignati.

A dispetto della chiara inconciliabilità di percorso di vita (una cosa è essere “sbirro”, ben altra essere mafioso, altra cosa ancora non essere né l’uno né l’altro), ognuno di essi potrebbe essere autore della scritta, in nome di una più profonda affinità emotiva. Una tale disposizione mette in ordine sentimenti e comportamenti costruendo una sorta di intelaiatura narrativa a due fasi: un’azione forte, risoluta (scrivere sui muri), di protesta e ribellione in nome di una dignità precedentemente tradita e quindi da riabilitare.

Ecco, allora, il posizionamento del nostro writer: egli è talmente coinvolto nella sua identità di gruppo da identificarvisi integralmente. Proprio per questo, si trova stritolato dalla dialettica fra identità e innovazione: da una parte comprende le necessità di evoluzione del suo gruppo, dall’altra, però, non riesce davvero ad adeguarvisi, assumendo ogni cambiamento con sempre maggiore difficoltà e montante repulsione. Questo effetto di nausea è peraltro rafforzato dal fatto che egli si trova costretto a far buon viso a cattivo gioco: la rovina ai suoi occhi si costruisce per innocenti slittamenti, piccolissimi ma implacabili passi verso il disfacimento, cui è impossibile ragionevolmente sottrarsi. Si tratta, pertanto, di dire basta, di sbottare una volta e per tutte. Prendere in mano la bomboletta e risolutamente dichiarare: “il mio gruppo – perfino il mio mondo! – io proprio non lo riconosco più!”. Allo stesso tempo, proponendomi come risorsa di restaurazione della differenza perduta, eroe (popolare!) della reazione contro il nuovo che avanza.

 


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