L'uomo che al posto del nome | aveva un anagramma - Live Sicilia

L’uomo che al posto del nome | aveva un anagramma

Nino, il clochard di via Guardione

Un clochard morto sotto le stelle. E il suo compagno di strada a rischio. Accanto alla saracinesca.

PALERMO- C’è vento forte a Palermo. Alcuni rami sono già caduti. Le insegne dei negozi scricchiolano pericolosamente in via Guardione. Il paesaggio attira pensieri desolati. E’ il secondo giorno dell’anno, le strade sono quasi vuote. Solo qualcuno affronta le raffiche, protetto dal cappotto imbottito.

Accanto a una saracinesca – nell’angolo tra via Guardione e via Crispi – ci sono delle coperte stese a terra. E c’è Nino. Lui era il compagno di notti e di stenti del clochard morto, l’ultimo di una serie non breve. Come si chiamava? “Amor, Omar, non so…”, risponde un passante. Un anagramma al posto del nome, sintomo di una confusione che certe esistenze le manda per aria davvero. Nessuno di coloro che hanno un tetto e una stufa potrebbe essere chiamato con un appellativo indefinito. Gli uomini-anagramma compongono un’altra storia. Se tutto è sottosopra, pure l’identità assume le tracce della vaghezza, della scomposizione.

Nella ridotta Crispi-Guardione, Nino si è organizzato a ridosso di una saracinesca segnata da graffiti e scritte. Con le coperte, ci sono piccoli oggetti per gli stratagemmi quotidiani della sopravvivenza. Forse, si intravvede un orologio che l’ora non la indica più.

C’è Vincenzo Figuccia, con sua sorella Sabrina: ex assessore regionale l’uno, consigliere comunale l’altra; sono provati per l’abbandono che hanno visto. “Noi siamo stati qui il primo gennaio. Stavamo facendo un giro per distribuire panettone e altro cibo – dice Vincenzo -. Ci siamo avvicinati e abbiamo chiacchierato con Nino: ‘come sta Amor?’. ‘Mah, stamattina stava male, vedi tu’. Abbiamo sollevato la coperta. Aveva gli occhi spalancati e le labbra viola”.

Figuccia ha chiamato subito i vani soccorsi. Infine, ha scritto tutto su facebook: “Un momento di solidarietà, un semplice gesto, che in pochi minuti sì trasforma in un giorno di dolore, di rabbia, di malinconia. Quella stessa malinconia che ti gela il sangue quando la morte incontra il tuo sguardo. Altro che speranza e libertà, lui era lì, con gli occhi sbarrati e disteso per terra avvolto da un mucchio di coperte vecchie. Se solo fossi arrivato prima, io, noi o forse la mano di chi può e deve agire oltre l’emergenza in una visione organica di politiche sociali contro la povertà”.

Perché si muore sotto le stelle, a Palermo? “Non lo so – spiega Ottavio Amato, che organizza il camper della missione ‘Speranza e carità’ di Biagio Conte -. Noi usciamo per la ronda e si sono formati, nel corso degli anni, tanti altri gruppi. In teoria, diverse persone vengono assistite”. Allora, come mai due decessi negli ultimi dieci giorni? Ottavio ci riflette un po’: “Davvero non lo so. Esistono delle resistenze. Non tutti i fratelli accettano l’accoglienza in una comunità. Sul marciapiede li seguiamo per come si può. Il fratello morto in via Crispi era un tunisino. Voci che abbiamo sentito riferiscono che avesse la febbre da un po’”. Le ali di Biagio Conte coprono gli homeless, i clochard, i barboni. “Incontriamo pure molte famiglie stritolate dalla crisi che dormono in macchina – conclude Ottavio -. I tempi non si presentano semplici per nessuno”.

Una sofferenza che intreccia le più disparate biografie. Ecco i nuclei familiari ristretti, ecco coloro che hanno perso tutto in passaggi cruciali, ecco i refrattari alle condivisioni, le anime che, a un certo punto, acquistano un anagramma al posto del nome.

Giuseppe Mattina, assessore alle Attività sociali del Comune, non ha più dormito da quella sera: “Non ci riesco. Sono eventi che ti colpiscono. Secondo le prime informazioni, Amor è morto di infarto. Aveva la febbre, in precedenza. Gli operatori hanno tentato di convincerlo ad andare in ospedale. Non ha voluto. Davanti a questo rifiuto, si può fare poco. Perfino un Tso sarebbe problematico”.

Di seguito, l’assessore invia lo schemino riassuntivo delle forze in campo contro il bisogno. Si legge, tra l’altro: “Due dormitori accreditati in locali comunali, sette unità di strada accreditate, una mensa accreditata, due enti per accompagnamento autonomia accreditati, il tavolo di coordinamento tra enti privati e comune, il potenziamento in rete per emergenza freddo”. E nuovi rimedi spiccano nel calendario del 2018, per l’assistenza sanitaria e la solidarietà.

E perché gli uomini muoiono sotto le stelle? “Io credo che si potrebbe fare di più – dice Giuseppe Li Vigni della onlus gli ‘Angeli della notte’, impegnata nei suoi giri notturni –. C’è una città indifferente, che osserva e passa avanti. La miseria che riguarda ormai tantissimi non è una priorità nell’agenda istituzionale. Non se ne parla, non si discute di interventi veramente strutturali. Per esempio, basterebbe investire in una politica residenziale di mini-appartamenti, per ridare alle famiglie e ai singoli la dignità di un progetto di vita. Invece, si agisce soltanto sull’emergenza, non sui progetti di recupero”.

Intanto, Nino il superstite presidia la ridotta Guardione-Crispi, accanto alla sua saracinesca. Piange. Tra una lacrima e l’altra, smozzica: “Farò la stessa fine. Morirò anch’io”. “Dopo la morte del suo amico, Nino ha deciso di rimare qui, al suo posto – dice Vincenzo Figuccia – a pochi metri dal luogo dove è nato, Borgo Vecchio, e da dove la società lo ha espulso per un lavoro perduto e un matrimonio finito. Faccio appello al presidente della Repubblica e alle istituzioni tutte affinché quest’uomo possa essere aiutato”.

Ma c’è troppo vento a Palermo, stamattina. E si porta via le buone parole e le ottime intenzioni. Non rimane altro da fare che coprirsi ancora di più col cappotto. Almeno, per chi un cappotto ce l’ha.

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