Coldiretti: "Imprese e pubblica amministrazione in Sicilia a 2 velocità"

Coldiretti: “Imprese e pubblica amministrazione in Sicilia a 2 velocità”

Parla il presidente Ferreri, che esprime il giudizio dell'associazione sul governo Musumeci

PALERMO – Burocrazia e lungaggini, male piante. Ma pure emergenza nuova sull’emergenza antica e conosciuta, fatta, secondo il presidente di Coldiretti Sicilia, Francesco Ferreri, “soprattutto di mancanza di celerità e sintonia con gli imprenditori, tara che spacca in due la Sicilia: un privato agile e tuttavia frustrato nelle proprie potenzialità e un pubblico che stenta a rinnovarsi”. E poi gli incendi e la difesa del paesaggio, “punto fondamentale per la valorizzazione dei territori e dei prodotti”.

Quattro anni di Musumeci, un presidente che appena insediato chiese di essere giudicato non per i primi cento giorni ma per i primi mille. Un bilancio per l’agricoltura siciliana, fra vecchi ritardi e nuove tare progettuali.

“Emergenza. Questa è la parola che bisogna associare a questi ultimi anni. Si è passati da un’emergenza ad un’altra e in mezzo la pandemia, con tutto quello che ne è derivato. Di certo proprio questi anni hanno insegnato che i sistemi regionali – e mi riferisco alla burocrazia – alle varie, fataviche lentezze, non possono più reggere. Di certo l’agricoltura non si è mai fermata. Abbiamo sempre continuato a produrre cibo, a portarlo nelle case e a ribaltare, laddove è stato necessario, le logiche aziendali per adeguarle ad un sistema in movimento. Detto questo non si può più accettare una Sicilia a doppia velocità dove il sistema imprenditoriale emerge, capace di fronteggiare i propri competitor, e il sistema pubblico è bloccato e dove per sbloccare, per esempio, i fondi destinati ai giovani, sono stati necessari ventimila agricoltori in piazza a Palermo”.

Un dialogo arduo o agile, con il governatore e l’assessorato di riferimento? Quali le spine più evidenti?

“Più che dialogo, direi confronto, che è imprescindibile. Le spine riguardano sempre la celerità: il mondo imprenditoriale non può più aspettare i tempi del pubblico. Il mondo è cambiato e tutto è in continua evoluzione. Quindi, su questo diciamo che il confronto è sempre aperto”.

Quanto pesano ancora le logiche globali sul made in Sicily e cosa può fare la Regione per attenuare la svalutazione del prodotto siciliano?

“Non parlerei di svalutazione del prodotto siciliano perché ormai il brand dei prodotti agricoli dell’Isola è una realtà consolidata e lo dimostra il trend delle esportazioni del vino, in forte aumento. C’è bisogno semmai di un sistema di comunicazione continuo che trasmetta bene il patrimonio siciliano. E bisogna agire con maggiore determinazione contro i reati che minano il nostro agroalimentare”.

Dove rischiamo di più e c’è bisogno di sostegno?

“C’è bisogno soprattutto di infrastrutture valide e cioè c’è bisogno di strade che non si trasformino in voragini dopo ogni temporale, quindi c’è bisogno di una manutenzione continua e adeguata. C’è bisogno di difendere il proprio territorio con una programmazione di prevenzione incendi, anche questa mirata e continua. C’è bisogno di tutelare il paesaggio che rappresenta una grande base dell’appeal dei prodotti regionali anche salvaguardano il terreno agricolo dagli impianti fotovoltaici che in questo momento stanno sorgendo ovunque. Siamo la Regione con la maggiore sostenibilità in Europa, i primi per superficie biologica. Tutto questo ha bisogno di un sostegno vero che permetta di lasciare alle future generazioni una Sicilia sana”.

All’ordine del giorno dei problemi, ora, il Pnrr e i progetti legati all’agricoltura, con il grande flop delle reti irrigue. Lei è pessimista sulle reali opportunità di intercettare queste enormi risorse? Quali le soluzioni?

“Non sono ottimista ma realista. Sul Pnrr si gioca il futuro dell’isola e di certo la Regione non può permettersi di sbagliare così come ha già fatto”.

Capitolo calamità naturali e conseguenze dei cambiamenti climatici sulle nostre colture. Che fare?

“La prima cosa è sicuramente fare arrivare a chi ha subìto danni, quanto spetta loro, e poi bisogna agire subito e in fretta. Sta emergendo chiaro da Cop 26: bisogna avviare un’inversione culturale in cui per esempio la forestazione appare fondamentale e prioritaria. Bisogna piantare alberi ma occorre anche evitare che s’incendino e torniamo al punto di partenza…”.


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