"La mafia imponeva i buttafuori nelel discoteche": chiese due condanne

“Condannate Mulè e il cognato”, il pentito Geraci non è indispensabile

Il processo riguarda il presunto controllo mafioso sui buttafuori nelle discoteche

PALERMO – Otto anni per Massimo Mulè, sei per il cognato Vincenzo Di Grazia. Sono le richieste di pena dei pubblici ministeri Gaspare Spedale e Giorgia Spiri al processo sul presunto controllo mafioso dei buttafuori nelle discoteche.

Nella stessa udienza il giudice per l’udienza preliminare Guglielmo Nicastro, su richiesta dei difensori, gli avvocati Giovanni Castronovo e Marco Clementi, ha deciso di non ascoltare il neo pentito Alfredo Geraci, i cui verbali sono stati depositato al processo. La sua audizione non viene ritenuta indispensabile ai fini della decisione e in ogni caso farebbe slittare i tempi di un dibattimento che viene celebrato in abbreviato.

I due imputati stanno assistendo al processo a piede libero – oggi Mulè era in aula – visto che sono stati scarcerati dal Tribunale del Riesame che nei mesi scorsi ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare.

Mulè era già stato arrestato nel blitz che azzerò il tentativo di riorganizzazione della mafia palermitana. Secondo l’accusa, che si basa sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, Mulè guiderebbe la famiglia mafiosa del rione Ballarò. I pentiti hanno detto che il posto di comando, una volta finiti di scontare i sei anni di carcere per una precedente condanna, gli spettava di diritto. Il Riesame, adeguandosi a quanto stabilito dalla Cassazione, disse invece che non c’erano fatti nuovi rispetto a quelli per i quali Mulè è già stato condannato. Senza attualità non si poteva emettere una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. Che il sia lui il capo, però, la Procura continua a sostenerlo.

Quindi il nuovo arresto nell’ambito dell’inchiesta sui buttafuori imposti dalla mafia in alcuni locali notturni della città. Mulè aveva risposto all’interrogatorio respingendo le accuse. È vero, Andrea Catalano, un altro degli arrestati, assoldava Di Grazia per il servizio di sicurezza, ma il loro rapporto era precedente al matrimonio con la sorella. Mulè giurò di non essersi speso, mai, per il cognato. Non c’era alcun bisogno che intervenisse visto il rapporto che legava Di Grazia a Catalano. E in ogni caso il cognato non ha ricevuto alcun trattamento di favore.


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