CATANIA. Il Tribunale di Catania ha “scongelato” alcuni dei beni sequestrati al catanese Santo Strano, fedelissimo del clan Cappello, tra i vertici del pericoloso e attivissimo gruppo dei Salvo, egemone nella zona del villaggio Sant’Agata. Strano, pregiudicato, anni fa era ritenuto dalla Dda di Caltanissetta coinvolto nella cosiddetta “strage di Catenanuova” del 2008 – ideata e compiuta da altri appartenenti al gruppo dei Salvo – ma da questa accusa è stato pienamente assolto, con sentenza passata in giudicato.
A Santo detto “facci i palemmu” i carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Catania hanno sequestrati beni stimati in mezzo milione di euro, stima ritenuta esagerata sin dal principio dal suo difensore, il penalista Francesco Antille del foro di Catania. Il Tribunale ha disposto la confisca di alcuni orologi di medio valore – su cui è pendente appello a Caltanissetta – dissequestrando il negozio della moglie, un’attività di vendita di cialde di caffè a Catania (l’immobile è proprietà dell’Iacp) e quasi tutto il resto, compresi conti correnti e carte postepay, non intestati a lui e su cui sarebbero stati canalizzati stipendi di alcuni familiari di Strano. Dunque denaro lecito e frutto di lavoro che è stato restituito agli aventi diritto.
Confiscato anche un immobile, una casa popolare, ex proprietà dell’Istituto autonomo case popolari di Catania, ma la confisca, secondo fonti vicine alla difesa, sarebbe inefficace perché quel bene è stato pignorato diversi anni fa: sarebbe stato gravato da un mutuo non pagato da Strano. La banca, semplicemente, per il mancato pagamento delle rate del mutuo aveva chiesto e ottenuto un’esecuzione immobiliare. La difesa ha dimostrato che gli investimenti fatti e le attrezzature rinvenute nel negozio della moglie, circa 14 metri quadrati nel Villaggio Sant’Agata di Catania, in realtà, sarebbero stati limitatissimi: la signora avrebbe tenuto in conto vendita le scatole di capsule che rivendeva.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Strano iniziò la sua “carriera criminale” a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, scalando le gerarchie all’interno del clan. Ha al suo attivo delle condanne per furto ed estorsione, prima di essere condannato al processo Penelope, che riguardava alcuni business del clan Cappello. Uno dei collaboratori di giustizia che ha parlato di lui lo ha ritenuto tra gli elementi di spicco del clan, assieme a Massimiliano Salvo. Ma questo fino al 2017. Di lui ovviamente ha parlato anche un altro pentito, ovvero l’ex genero di Giuseppe Salvo “u carruzzeri”, Filippo Passalaqua, così come un altro “ennese”, come Orazio Cardaci detto “favi frischi”. Per un certo periodo, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto da collettore tra Catania e i gruppi mafiosi operanti a Catenanuova, Centuripe e Regalbuto nell’Ennese.