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Conviene nascere a Palermo?

Un bambino nasce. Un papà sorridente ci racconta le peripezie per la registrazione. Sindaco e assessore intervengono con lodevole prontezza. Resta la domanda di fondo: conviene nascere a Palermo?

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Conviene nascere a Palermo? Questa è la domanda. La premessa. Anni fa, un onorevolissimo al termine di un roboante comizio, convocò in una stanza i presenti sotto la trentina, cacciando con foga i furbetti che baravano sull’età, imaginando prebende (‘nca quali, lei cinquantadue anni ha perlomeno). Agli astanti confesso, pressapoco: “Ragazzi, fino a poco fa ho riferito solennissime minchiate. Noi siamo fottuti, la politica è marcia. Voi no. Voi potete ancora salvarvi”. Vero o falso che sia, l’aneddoto è gustoso e piccante. Racconta di un barlume di coscienza sepolto sotto immondizia e retorica. Tuttavia, i tempi sono perfino peggiorati. Oggi sei fottuto – per rifare il verso all’onorevole – pure se hai meno di trent’anni, alle nostre latitudini. Sei fregato appena nasci. Ergo, è conveniente nascere siciliani? Teoria filosofica che imporrebbe uno sforzo sovrumano al sottoscritto. Meglio l’esperienza diretta, dunque: conviene nascere a Palermo?

Se nasci, nasci. E non ci piove. Se nasci a Palermo – come ha narrato l’ironico Michele Carella – già a papà sale la pressione, nelle eventuali peripezie dell’imprimatur anagrafico. Nulla in confronto a ciò che ti attende, specialmente se la cicogna è atterrata negli ultimi dieci anni. C’è sempre un delicato olezzo di munnizza che sale attraverso le finestre dell’ospedale e si mescola all’odore del latte materno, garantendo una curiosa associazione olfattiva a ogni poppata. Sicchè, anche in futuro, quando penserai teneramente alla tua città come a una mamma premurosa, non potrai mai discostarti da un certo retrogusto di manchevole nettezza urbana. E prenderai confidenza nasale e intima con la munnizza, fino a non poterne fare del tutto a meno.
Crescendo, andrai all’asilo con compagnucci palermitani scafatissimi che, tramite accorta effrazione, si papperanno la tua merendina. A scuola pagherai il pizzo al ripetente, quasi delinquente minorile – una bella promessa criminale comunque – dell’ultimo banco, sotto forma di compito da passare. Il bello verrà più innanzi. Andrai all’università, ti sobbarcherai di fatica, mentre tutti intorno ripetono a mo’ di coro greco e attassatore: “Tanto lavoro non ce n’è”. Hanno ragione, purtroppo.

Dice: ciò accade ovunque. Perfino a Bolzano.  Siamo disposti a concederlo. Tuttavia, la merendina dell’asilo qui viene sottratta con un’ulteriore donazione di mazzate infantili (da cui il motto cornuti e mazziati). Il ripetente della media istituirà un racket annuale sul compito copiabile. All’università frequenterai solo per caso docenti bravi e soprattutto professoroni neo-borbonici che amministrano la cattedra come un feudo. E dovunque, bambino che sei nato, che nascerai, o che stai per nascere, incontrerai la piaga panormitana per eccellenza. No, non il ciaffico: la rasseganzione di chi è pecora con i potenti e lupo con i deboli. Tanto lavoro non ce n’è.

Ecco perché la risposta alla domanda sarebbe “no”. Anzi “Nooooooo”. Anzi un “NO” grande da scrivere con la vernice rossa sul muro del nostro scontento. Poi rimiri il sole, la luna, il mare, un’ombra di gelsomino sulla parete, via Libertà estiva e sgombra. E dici sì, per sempre. Non l’avete capito? E’ proprio per questo che siamo fottuti. Innamorati e testardi. Palermitani.

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