Corleone, i boss predicavano pace in nome di Dio: confisca milionaria - Live Sicilia

Corleone, i boss predicavano pace in nome di Dio: confisca milionaria

Storia della potente famiglia Lo Bue

CORLEONE – Un tesoretto che vale tre milioni di euro passa definitivamente al patrimonio dello Stato. I carabinieri del Ros, con i militari del comando provinciale di Palermo, hanno eseguito due distinti decreti di confisca emessi dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale su proposta della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di Rosario Salvatore Lo Bue, del figlio Leoluca e di Calogero Giuseppe Lo Bue, deceduto, boss del mandamento di Corleone di cui il primo è stato il reggente.

I provvedimenti, divenuti irrevocabili a seguito delle ultime pronunce della Cassazione, riguardano rapporti bancari, abitazioni, terreni, polizze assicurative, complessi aziendali e un magazzino. Le indagini patrimoniali hanno incrociato le informazioni provenienti dall’agenzia delle entrate con quelli delle banche dati del settore agroalimentare.

Rosario Salvatore Lo Bue e il figlio Leoluca, attraverso alcuni prestanome, hanno messo le mani sui contributi comunitari. Il primo è stato condannato nel 2001 a sei anni e nuovamente arrestato nell’indagine Perseo del 2008 con l’accusa di aver diretto il mandamento di Corleone. Il figlio è stato condannato nel 2017 a dieci anni di reclusione con l’accusa di estorsione aggravata ai danni di un’impresa edile e associazione mafiosa.

Classe 1953, ufficialmente faceva il pastore, ma il padre è un irredimibile di Cosa Nostra. Incontrava i suoi uomini in campagna mentre pascolava gli animali e predicava la pace in nome di Dio. Rosario Lo Bue è fratello di Calogero Giuseppe, arrestato nell’aprile del 2006 perché era uno dei “vivandieri” di Bernardo Provenzano. Nei guai Rosario c’era finito la prima volta nel 1997, anche lui per avere aiutato il padrino a nascondersi. Ed arrivò la prima condanna per mafia.

Nel 2008, nei giorni del maxi blitz Perseo, la sua figura emergeva con prepotenza. Nel tentativo di ricostruire la cupola a Corleone avevano deciso di schierarsi al fianco dei boss di Palermo. I viddani scendevano a patti con i palermitani che tre decenni prima Riina e Provenzano avevano spodestato con il piombo. Solo che le intercettazioni furono dichiarate nulle per un vizio formale. Poi, nel 2016, il nuovo arresto e la condanna a 12 anni divenuta definitiva nel 2019.

Anche in carcere l’anziano boss ha mantenuto “condotte chiaramente sintomatiche della permanente appartenenza al sodalizio mafioso”. Mandava avanti la baracca mafiosa. Ha tenuto in mano lo scettro del potere nonostante contro di lui tuonasse Carmelo Grizzaffi (figlio di Caterina Riina, sorella di Totò), prima che quest’ultimo finisse di scontare la sua pena. A Lo Bue è stato riconosciuto il peso per mediare nei contrasti via via sorti fra altri pezzi da novanta di Cosa Nostra, come i bagheresi Pino Scaduto e Onofrio Morreale.

In carcere l’anziano boss ha pure trovato tempo e voglia di fare da padrino nel rito di affiliazione di Vito Galatolo, capomafia dell’Acquasanta e ora collaboratore di giustizia. Lo Bue non ha mostrato alcun “segno di ravvedimento”, né un timido segnale di “volere cambiare vita”. Ha solo mostrato con ostinazione la sua voglia di essere un mafioso.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI