Corleone, crepa nel muro di omertà | Imprenditore denuncia: 4 arresti - Live Sicilia

Corleone, crepa nel muro di omertà | Imprenditore denuncia: 4 arresti

L'operazione dei carabinieri è la prosecuzione di quella che nel settembre scorso azzerò i vertici della mafia di una fetta della provincia palermitana. Il presidente di Confindustria Montante: "Gli imprenditori onesti hanno rotto il muro di omertà nel regno di Riina". I NOMI DEGLI ARRESTATI. VIDEO. LE FOTO Leggi: la condanna di Corleone (di Roberto Puglisi)

MAFIA - Operazione Grande Passo 2
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CORLEONE – Si rompe il muro dell’omertà nel paese che ha dato i natali ai padrini di Cosa nostra. Da Corleone arriva un segnale di riscatto. Un imprenditore denuncia il pizzo e fa arrestare quattro persone. Quei 500 euro al mese erano diventati un incubo. Specie in tempo di crisi. Non sono tanto i numeri a rendere importante l’operazione dei carabinieri del Gruppo di Monreale e della compagnia di Corleone, ma il suo forte valore simbolico. All’inizio l’imprenditore aveva bussato alla porta dei mafiosi. “Non si può migliorare la situazione per me?”: come spesso avviene aveva chiesto uno sconto sul pizzo da pagare per la nuova attività che aveva deciso di aprire. Attività che alla fine ha dovuto chiudere stritolato dal racket. Gli altri tre imprenditori, invece, hanno ammesso di avere pagato solo dopo che i carabinieri li hanno messi di fronte alle evidenze investigative.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Sergio Demontis e Caterina Malagoli, è la prosecuzione di quella che nel settembre scorso azzerò i vertici della mafia di una fetta della provincia palermitana, da Palazzo Adriano a Corleone, da Misilmeri a Belmonte Mezzagno. Allora finirono in manette Antonino Di Marco, custode del campo sportivo comunale. Suo fratello Vincenzo era stato l’autista di Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina. Assieme a lui furono arrestati Paolo Marasacchia, Nicola Parrino, Pasqualino e Franco D’Ugo.

Con le nuove indagini si è fatto luce su quattro estorsioni commesse ai danni di imprenditori e commercianti e ci si è concentrati sulla famiglia mafiosa di Villafrati. Due dati sono saltati all’occhio degli investigatori. Il pizzo viene imposto due volte: una parte dei soldi va alle famiglie mafiose dei paesi di origine delle vittime e l’altra serve a rimpinguare le casse del clan che controlla il territorio dove vengono eseguiti i lavori. Secondo elemento: vista la carenza di commesse pubbliche i boss si sono concentrati sui lavori privati.

“Quella che è emersa dalle indagini è la fotografia di una mafia che – spiega il colonnello Pierluigi Solazzo che guida il gruppo di Monreale dei carabinieri – nonostante le varie operazioni di polizia riesce sempre a riorganizzare le proprie fila, individuando nuovi affiliati. Ancora una volta è stato accertato come uno dei principali canali di sostentamento delle consorterie mafiose è rappresentato dal provento delle estorsioni”.

Adesso ci si attende che altri imprenditori seguano l’esempio coraggioso di chi si è ribellato al racket, visto che alcuni di loro, piuttosto che denunciare, finora hanno preferito addirittura chiudere bottega, vessati dalla mafia e dalla crisi.

Gli arrestati sono: Francesco Paolo Scianni, Ciro Badami, Pietro Paolo Masaracchia, Antonino Lo Bosco.

“Per la prima volta nell’ex regno dei boss Riina e Provenzano, gli imprenditori hanno avuto la forza di rompere il muro di omertà e dire basta, denunciando i propri estortori. Un segnale di enorme valore e un grandissimo cambiamento culturale che conferma come il seme della ribellione continui a dare i suoi frutti”. Antonello Montante, delegato nazionale per la legalità nonché presidente di Confindustria Sicilia, commenta così l’operazione “Grande passo 2”, eseguita dai Carabinieri di Corleone e di Monreale, che ha fatto luce su alcune estorsioni a Corleone grazie alla collaborazione delle vittime. “Un plauso particolare – continua Montante – va alla Dda di Palermo che ha coordinato l’indagine, al procuratore aggiunto Agueci, ai sostituti Demontis e Malagoli, e al comando provinciale dei Carabinieri. Questa è la dimostrazione – aggiunge il delegato nazionale per la legalità – che il fenomeno delle estorsioni è ancora in atto. Tanto è stato fatto da magistratura e forze dell’Ordine, ma tanto c’è ancora da fare. E, di certo, operazioni come quella di oggi non potrebbero esserci senza la collaborazione di quegli imprenditori onesti e con un alto valore etico, consapevoli che stare con la mafia significa andare contro i propri interessi”.


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