CORLEONE – Non più il paese di Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella, ma quello di Boris Giuliano, Rocco Chinnici, Mario Francese, Antonino Saetta e tutte le altre vittime di Cosa nostra. Per “sancire la vittoria del Bene contro il Male supremo, contro la violenza cieca di chi ha impugnato le armi per uccidere uomini di Stato, uomini di Chiesa, uomini di civiltà”. Alla vigilia del ventesimo anniversario dell’arresto di Totò Riina, il sindaco di Corleone Lea Savona ha affidato il paese alle vittime dei Cosa nostra rivolgendo loro una lettera: l’occasione è stata il dibattito “Riconquistare Corleone”, organizzato nell’ambito del “Festival della legalità in tour” alla presenza di Giulio Francese, figlio di Mario, Giovanni Chinnici, figlio di Rocco, Roberto Saetta, figlio di Antonino, e Maria Leotta Giuliano, vedova di Boris.
A loro si è rivolto il sindaco, Leoluchina Savona: “Io – ha detto leggendo una lettera nel corso dell’iniziativa, moderata dall’inviato del Corriere della Sera Felice Cavallaro – vi chiedo scusa. Vi chiedo scusa a nome di tutti i corleonesi, vi chiedo perdono per il sangue che è stato versato. Quel sangue, però, non è stato versato invano: nei vent’anni che ci separano dall’arresto di Totò Riina, nei sette che fra poco si compiranno dalla cattura di Bernardo Provenzano, quel sangue è servito a tutti noi per ricordare che una sola può essere la strada, uno solo il campo da scegliere in questa guerra”.
E se nel corso dell’iniziativa è stata intitolata una strada alla memoria di Boris Giuliano alla presenza della vedova Maria Leotta Giuliano, l’occasione di oggi, alla vigilia del ventennale dell’arresto di Riina, è servita per consegnare Corleone tutta alle vittime della mafia: “Oggi – ha affermato il sindaco – dedicheremo una strada a Boris Giuliano, domani un’altra via sarà intitolata alla memoria di Ninni Cassarà. Ma io, oggi, vi consegno ciascuna strada, ciascun vicolo, ciascuna casa di Corleone: ve le consegno con l’impegno di essere i vostri fratelli, i vostri genitori, i vostri mariti e mogli che vi sono stati strappati dalla ferocia dei boss. Prendetela, riconquistatela insieme a noi, per sancire la vittoria del Bene contro il Male supremo, contro la violenza cieca di chi ha impugnato le armi per uccidere uomini di Stato, uomini di Chiesa, uomini di civiltà”.
Nell’occasione, il sindaco ha ricordato le parole di Giovanni Paolo II: “Mafiosi, convertitevi”. “Io – ha proseguito Leoluchina Savona – non posso paragonarmi all’incommensurabile levatura morale del Santo Padre, quindi oggi non ripeterò le sue parole: ai mafiosi, oggi, chiedo la resa, chiedo di lasciare questa terra e di abbandonare questa lotta. Chiedo loro di ammettere la sconfitta, di consegnarsi nella consapevolezza che questa terra, finalmente, un giorno sarà liberata. Un giorno, diceva Paolo Borsellino, questa terra sarà bellissima: ecco, quel giorno è arrivato, nei solchi irrorati dal sangue delle tante vittime è nata la pianta sana della speranza, della resistenza, della liberazione”.
Anche perché, come ha ricordato Giovanni Chinnici, “siamo tutti vittime della mafia. Tutti i corleonesi, tutti i siciliani lo sono: questa non è la terra dei mafiosi, è la terra dei Chinnici, dei Francese, dei Saetta, dei Giuliano, dei Falcone. I mafiosi sono pochi: noi siamo la stragrande maggioranza di quest’Isola”. “I giovani – ha proseguito Roberto Saetta – devono guardare al futuro con fiducia, liberandosi della macchina che il clan dei Corleonesi ha gettato sul loro paese”.
I Corleonesi, del resto, furono raccontati per la prima volta proprio da Mario Francese. “È un’emozione vedere qui la mostra dedicata a mia padre – ha spiegato Giulio Francese, figlio del giornalista ucciso da Cosa nostra – Voglio che la memoria entri nelle scuole per non dimenticare quel che è successo”. Il futuro, così, si è accompagnato al ricordo: “Mio marito – ha osservato Maria Leotta Giuliano – aveva scelto di fare il poliziotto e l’ha sempre fatto con estrema dedizione. Per questo è stato condannato alla solitudine che l’ha portato alla morte. Oggi, però, so che non è solo”. Al suo fianco ci sono i corleonesi. La parte sana di un paese che ha una macchia ingiusta sul proprio nome.