Coronavirus, il dolore e la rabbia | "Siamo più cattivi" (o forse no) - Live Sicilia

Coronavirus, il dolore e la rabbia | “Siamo più cattivi” (o forse no)

La catastrofe del Covid ci mette alla prova. Come sopra un aereo con la paura di cadere.

Qualche volta – magari solo per il sollievo di sentirsi al riparo sulla terraferma o per un gioco sottile con lo spavento – avremo pure immaginato di trovarci sopra un aereo che cade. Avremo magari pensato, con un brivido, agli ultimi istanti, alla paura, alle strette di mano con un passeggero ignoto. E ci saremo chiesti: “Noi come ci comporteremmo?”.

Anche la pandemia da Coronavirus si presenta come un estremo momento della verità. Ma è, purtroppo, concreta e diffusa, oltre ogni esercizio di immaginazione. Quando la vita è in picchiata, la nostra o quella di altri, le questioni importanti si liberano dallo sgabuzzino in cui le avevamo nascoste. E risalgono alla coscienza.

Ecco, per esempio, una domanda dalla fisionomia difficile: il Covid, commensale sgraditissimo alla mensa di tutti, ci ha trasformati? Se è accaduto, siamo diventati più buoni o più cattivi? Ha vinto la solidarietà dell’emergenza o il cinismo della conservazione? La risposta, per adesso o per il dopo, si rende necessaria.

Marco Barone, psicoterapeuta che presta la colla a parecchie anime con i cocci da attaccare, riflette: “Con la frustrazione dovuta a vari livelli di conseguenze del virus, molte persone sono più arrabbiate, depresse o incattivite, mentre altre si sono date uno spazio per riflettere, guardare se stessi e migliorare. Ma complessivamente non penso che siamo più buoni, anzi”.

Ennio Tinaglia, avvocato, penna d’oro prestata a LiveSicilia.it, attinge alla sua ironia per restare nel canovaccio tracciato dallo psicologo: “Io sono molto arrabbiato – confessa – e penso che sia un sentimento comune. Come mi salvo? Scherzando, scrivendo, canticchiando qualche volta sui social (e ha una bella voce, ndr)”.

Dunque, dobbiamo rassegnarci al peggioramento, sia pure per causa di forza maggiore? Renzo Messina, volontario, figura storica della Comunità di Sant’Egidio, si muove in controtendenza: “Abbiano ricevuto decine di chiamate e mail di gente che si è messa a disposizione per aiutarci ad aiutare chi stava peggio. Al netto della politica fondata sulla ricerca di un nemico che fomenta i sentimenti peggiori della gente, credo che in tantissimi abbiamo riflettuto sull’essenziale e su come essere migliori. Papa Francesco mi sembra il faro indiscusso di questo tempo. Certo, abbiamo notato un aumento delle persone per strada”.

Daniela Crimi, professoressa, preside, abituata al linguaggio della sensibilità, conclude: “Il Coronavirus non ci ha reso né più buoni né più cattivi. Ognuno ha svelato la sua natura, chi era per natura empatico si è commosso, ha sofferto, si è immedesimato in ogni uomo e donna: soprattutto le vittime per cui siamo rimasti scossi. Quelli per natura meno empatici, forse, si sono concentrati più sulle polemiche, sui piccoli egoismi. Tutti siamo certamente più ansiosi e anche un po’ spaventati, guardinghi, io personalmente ho paura ad abbracciare il prossimo, anche i miei genitori. E questo mi spaventa un po’”.

E’ vero. Quanto ci costa l’assenza di contatti con il vicino di posto. Ma gli abbracci torneranno nel giorno più luminoso del volo.


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