Mafia e supermercati |“Soldi a Turi il biondo” - Live Sicilia

Mafia e supermercati |“Soldi a Turi il biondo”

Sangue, soldi e supermercati. Colpo dei magistrati milanesi al cuore della mafia. Lidl: "Estranei alla vicenda".

I RETROSCENA DELL'INCHIESTA
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MILANO – Supermercati, contanti e mafia. I soldi passano da un imprenditore milanese e finiscono nelle tasche di Salvatore Orazio Di Mauro, detto “Turi ‘u biondo”, non un uomo qualunque, ma un pezzo grosso della mafia catanese, almeno secondo le ipotesi della magistratura, ritenuto organico al clan Laudani. Si tratta di una famiglia di killer spietati e affaristi che avrebbe messo le mani sulla grande distribuzione gettando pesanti ombre sull’operato di alcuni centri direzionali della Lidl; il colosso dei supermercati, però, non è tra gli indagati. Attorno al sistema di gestione delle forniture e dei servizi, ai piani alti della nota catena di distribuzione, qualcuno avrebbe giocato sporco. Sono 15 le ordinanze di custodia cautelare emesse a carico di un’organizzazione che si sarebbe infiltrata nei punti vendita Lidl e nei Consorzi di vigilanza privata (da qui il nome “Security” dell’inchiesta), un fiume di soldi sarebbe finito nelle casse dei Laudani.

SANGUE E ORO – Alle falde dell’Etna li chiamano “Mussi i ficurinia”, faccia di fichi d’India, considerati i “macellai” della mafia catanese non tanto perché, originariamente, si occupassero dell’allevamento e macellazione clandestina di bestiame, quanto per la stagione di sangue della quale sono stati protagonisti. Pippo di Giacomo, braccio armato dei Laudani, utilizza una motopala per abbattere il bunker nel quale si nascondeva Sebastiano D’Arrigo, un nemico giurato della famiglia, a Mascalucia e lo uccide a colpi di kalashnikov e fucili calibro 12. Gaetano Laudani, uno dei boss, viene ucciso e lasciato in una fiat 500 allo strazio dei cani randagi. L’elenco dei morti nella guerra dei Laudani è lunghissimo, come è lungo l’elenco degli affari. I Laudani hanno realizzato resort e strutture alberghiere che, ancora oggi, continuano a operare alla luce del sole, si sono specializzati nella vendita di autovetture e hanno fatto del riciclaggio la loro storia segnando un ponte tra gli anni di sangue e quelli d’oro, del presente.

TURI ‘U BIONDO – Il personaggio centrale dell’operazione coordinata dalla Procura di Milano è Salvatore Orazio Di Mauro, marito di Giovanna Scuderi, figlia di Martino Salvatore Scuderi e di Lucia Laudani, a sua volta figlia di Sebastiano Laudani, uno degli uomini chiave della famiglia.

Un incensurato fino al 2016, titolare di un mobilificio ad Acireale all’interno del quale si svolgevano i summit. Secondo quanto emerge dalle indagini della magistratura, Di Mauro si sarebbe occupato di usura e estorsioni, curando il primo contatto con i soggetti da sottoporre al pizzo. Uno dei pentiti chiave, che ha svelato il ruolo dei componenti della nota famiglia catanese, è Giuseppe Laudani, un tempo ai vertici del clan. Sul conto di Di Mauro ha detto che “si occupa di tutto, di qualsiasi cosa, tutti gli intrallazzi, chiamiamoli gli intrallazzi del mondo, tutto quello che esiste, è uno attivo va! Mio cugino Salvatore Di Mauro, qualsiasi cosa c’è da fare, se c’è da fare truffe fa truffe, non è un rapinatore, non è una persona che fa omicidi, parliamoci chiaro su questo punto di vista”.

LE INDAGINI – L’organizzazione sgominata dalla Procura di Milano avrebbe versato i soldi a Di Mauro fino al suo arresto, avvenuto il 10 febbraio 2016. Ma nonostante il maxi blitz che ha di fatto azzerato la cosca, l’organizzazione avrebbe continuato a pagare attraverso parenti o altri affiliati. Soldi, appalti e forniture avrebbero alimentato il “serbatoio finanziario del clan”, scrive il Gip di Milano Giulio Fanales,  facendo leva sull’appartenenza “al sodalizio di soggetti esercitanti il controllo su floride aziende del settore della sicurezza privata”. Il Gip punta l’attenzione sulla lontananza dal “territorio di riferimento del clan”,  che rende “particolarmente efficace l’attività dell’associazione, volta al sovvenzionamento dell’organizzazione di stampo mafioso”.

Il giudice mette anche in evidenza “la complessità del sistema escogitato onde conseguire la provvista illecita da destinare al clan, con il notevole impegno, profuso dagli associati, per garantirne l’operatività; la determinazione dimostrata nel sovvenzionare l’organizzazione mafiosa, tanto da fare proseguire il versamento delle somme, a quel punto a favore dei parenti degli affiliati, malgrado la cattura dei principali esponenti del clan; infine, i grandi rischi corsi dagli indagati, stante la rilevante distanza fra il territorio di operatività dell’associazione, nonché luogo delle loro dimore abituali, ed il comune di Acireale, ove hanno luogo le consegne di denaro”. Denaro sporco sarebbe stato inviato anche a un altro indagato, Enrico Borzì, altro esponente del gruppo criminale.

LA REPLICA DI LIDL – “Lidl Italia si dichiara completamente estranea a quanto diffuso in data odierna dai principali media in relazione all’operazione gestita dalla Dda”: è quanto dichiara, in una nota, la società. “L’azienda, che è venuta a conoscenza della vicenda in data odierna da parte degli organi inquirenti – viene sottolineato nel comunicato – si è resa da subito a completa disposizione delle autorità competenti, al fine di agevolare le indagini e fare chiarezza quanto prima sull’accaduto. Lidl Italia precisa, inoltre, che l’azienda non risulta indagata e non vi sono sequestri in atto”

 


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