Covid, da eroi a precari: il protocollo della discordia

Covid, da eroi a precari: il protocollo della discordia

Cosa dice il documento firmato da cinque sigle sindacali su diciotto.

(Roberto Puglisi) Nel processo di generale rimozione (politica, sociale, emotiva) di una tragedia della nostra storia recente, ogni tanto, affiorano frammenti nitidi di ciò che è accaduto davvero. Forse perché averli raccontati porta a un surplus di memoria. E dunque: le bare di Bergamo, la Fiera, i tamponi, i morti infilati in sacchi neri, la disperazione, le ambulanze in fila (nella foto d’archivio), i dottori, gli infermieri, gli oss, tutti quelli che, dopo avere raccontato la loro giornata alle prese con un mostruoso coronavirus, lasciavano trasparire un’intimità deturpata da qualcosa che nessuno aveva mai visto e che appariva smisurata, nel suo essere incalcolabile.

Oggi, per fortuna, lo scenario è differente, seppure sarà necessario osservare un fenomeno, ora ‘normale’, per molto tempo. Ma tanti non hanno dimenticato, comunque. Perché? Perché non si può. Il Covid fa parte della nostra storia e di noi stessi, per quanto ci sforziamo di escluderlo dall’orizzonte. Tuttavia, gli eroi di ieri non lo sono già più. Molti di loro sono diventati ‘precari’. Come una diminuzione, senza mancare di rispetto al precariato e alla sua faticosa e coscienziosa etica dell’impegno. Come se avere combattuto una guerra – di questo si tratta – fosse assimilabile alla dinamica auspicata di un posto a tempo determinato che si cerca di trasformare in presenza fissa. Attività essenziale, in tempo di pace. Che, tuttavia, non conserva nulla di un conflitto.

Il ‘protocollo della discordia’

Chiaro, concretamente si devono fare due conti, tenendo fermamente presente lo schema delle regole, della disponibilità, dell’equilibrio di un sistema. Sono azioni di governo per nulla semplici condensate nel ‘protocollo della discordia’ sui precari firmato, dopo un incontro in assessorato, da cinque sigle sindacali su diciotto. Un particolare a cui viene dato poco peso nella nota della Regione che celebra, invece, con le parole dell’assessore alla Salute, Giovanna Volo: “Un primo passo importante per cui abbiamo lavorato ininterrottamente e concretamente. A guidarci verso questo risultato, assieme ai sindacati firmatari, la volontà di rafforzare strutturalmente i servizi sanitari regionali oltre a quella di valorizzare appieno la professionalità acquisita da questi lavoratori, che hanno sostenuto la nostra sanità nel momento più complicato. Nuove opportunità si apriranno per loro anche con la realizzazione della rete territoriale prevista dal Pnrr”.

Un giudizio non condiviso da altri. Qui riassumiamo le varie posizioni. Durissima, per esempio, è la critica del segretario regionale della Cgil, Alfio Mannino: “Il protocollo sui precari Covid siglato oggi da alcuni sindacati e dall’assessore regionale alla Salute non è nient’altro che la fotografia delle possibilità già note e già date dalla normativa vigente. Spacciarlo per ‘ risultato’, come fa l’assessore Volo, è una mistificazione, la sua dichiarazione è fuori luogo. Più che un ‘primo passo’, come viene definito dall’esponente del governo, appare come una marcetta sul posto: mi agito ma non mi muovo”. Interviene pure, la segretaria della Uil Sicilia, Luisella Lionti: “Non abbiamo potuto firmare il protocollo perché non dava risposte concrete a tutti i lavoratori. Non è stato, tra l’altro, inserito nulla di quello che avevamo proposto. Continueremo quindi la nostra protesta affinché a tutti i precari Covid sia dato il giusto riconoscimento per il lavoro svolto”.

Posti, soldi e piante organiche

Le procedure di assorbimento, come si evince dalla lettura del documento, sono legate ad alcuni variabili. Ecco uno stralcio del testo, con le formule di rito: “E’ consentito assumere a tempo indeterminato: il personale, dirigenziale e non, sociosanitario e amministrativo reclutato dagli enti del Servizio sanitario nazionale, anche con contratti natura flessibile, anche qualora non più in servizio. Il personale che abbia maturato o che maturerà al 31 dicembre 2024 (…) almeno diciotto mesi di servizio, anche non continuativi, di cui almeno sei mesi nel periodo intercorrente fra il 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2022”.

La sostanza si annida nel dettaglio: “Tale processo di stabilizzazione dovrà avvenire in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale e nei limiti di spesa. Le Aziende, preliminarmente, devono aggiornare, entro trenta giorni dalle notifiche del presente protocollo, i rispettivi piani di fabbisogno del personale in considerazione delle sopravvenute cessazioni di rapporti contrattuali, delle procedure di stabilizzazione in itinere, nonché dei reclutamenti già perfezionatisi in applicazione di precedenti stabilizzazioni”. Un brano in burocratese che si presta a una doppia lettura. L’assessore e i sindacati consenzienti esultano per la prospettiva. I sindacati del no richiamano tutti quei ‘se’ di fatto come un ostacolo quasi insormontabile. E siamo soltanto alle prime di molte verosimili puntate sulle spine nel fianco della nostra Sanità.


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