Covid, ecco il mondo che ho sognato

Covid, ecco il mondo che ho sognato

Tutto aperto in sicurezza e le mura di casa non come imposizione ma libero rifugio
D'ALÌ A QUI
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Ho sognato un mondo che conviveva col Coronavirus, senza restrizioni, senza costrizioni e senza negazioni. Senza rabbia. Senza odi di classe merceologica, né distinzioni tra classi che entravano o studiano in DAD. Tutto era aperto. Una pizza si poteva mangiare in totale sicurezza; capitava di entrare in un bar semi affollato, ma in quel caso i più cauti giravano i tacchi e andavano da qualche altra parte. Niente coprifuoco: i ragazzi uscivano consapevoli che potevano beccare il virus; alcuni se ne fregavano e beccavano il virus; quelli con più testa evitavano contatti, mettevano la mascherina e si divertivano lo stesso; e certo, qualcuno di loro questionava col genitore più intransigente che gl’intimava di starsene dentro.

Tutti erano liberi di fare ciò che volevano, le mura di casa non erano più un recinto imposto, ma l’opzione di un rifugio. Chi voleva indossava la mascherina, altrimenti massimo rispetto per chi chiedesse di stare distante. Chi voleva vaccinarsi, prenotava dal medico curante e aspettava il suo turno. Chi non voleva, semplicemente accettava di non poter accedere a luoghi chiusi comuni; non perché c’era chi fosse nel giusto e chi no, ma perché questa era la legge e andava rispettata.

Gli stadi erano aperti, ma avevano un terzo della capienza. Il tifoso più cauto guardava la partita in tv, quello più intraprendente ci andava e aveva la possibilità di stare distante dagli altri. I cinema e i teatri funzionavano, sanificati e accessibili solo ai vaccinati. I musei idem. Le palestre idem. Le scuole di ballo idem. Eccetera eccetera idem … La vaccinazione procedeva, senza lentezze pachidermiche e senza la stucchevole tiritera del “dobbiamo fare presto”; procedeva e basta. Gli spostamenti non erano un problema, perché tutto avveniva in sicurezza e nel rispetto dei protocolli: treni, navi e aerei erano controllati, i passeggeri mai stipati.

Gli ospedali facevano quel che potevano, non c’era l’assillo della conta dei ricoveri; le terapie intensive erano quelle, il resto era tutto nelle mani del popolo, libero di ammalarsi o di tutelarsi. I nonnini, dall’alto della loro saggezza, restavano a casa fino al vaccino e chi andava a trovarli o era scemo o era certo di non essere infetto. Tamponi di massa non se ne facevano più e quelli che si facevano non erano rapidi o lenti, erano semplicemente tamponi; perché noi eravamo semplicemente un Paese più intelligente di questa schizofrenia degli esiti a giorni alterni. Positivo e negativo tornavano alla loro originaria semantica.

Il governo spendeva tanto in campagne informative: “Il Covid uccide” “il Covid nuoce gravemente ai polmoni” erano scritte che imperversavano ovunque; e sì, il Covid continuava ad uccidere proprio come il fumo, i tabacchini continuavano a rimanere aperti proprio come tutto il resto. Non c’erano più i bollettini giornalieri. In Tv si parlava d’altro, i virologi stavano negli ospedali, i politici in parlamento. L’Italia era a colori: il bianco, il rosso e il verde. E andava tutto bene.

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