ROMA – La terza dose alza uno scudo contro la variante Omicron, riportando la protezione a livelli simili a quelli che si ottenevano con due dosi contro la versione originaria del virus SARS-CoV-2. Uno studio coordinato dall’Università di Colonia e reso disponibile in pre-print prima della pubblicazione su Nature Medicine fa intravedere la rotta per uscire dalla crisi innescata dalla nuova variante.
La ricerca ha confermato che l’efficacia di due dosi di vaccino, in termini di produzione di anticorpi neutralizzanti, è in effetti molto bassa se si tratta di Omicron. Nel dettaglio, nella scala usata dai ricercatori, dopo un mese dalla seconda dose, la capacità neutralizzante è di appena 5 punti; per avere un metro di paragone, la capacità neutralizzate del vaccino contro il virus originario è risultata essere pari a 546. Le cose cambiano però completamente con la somministrazione della terza dose: la capacità degli anticorpi di neutralizzare Omicron sale a 1.195, un livello perfino più alto rispetto a quello che due dosi di vaccino conferivano contro il virus di Wuhan. Intanto Pfizer ha fatto sapere che, in caso di necessità, sarà in grado di fornire in primavera un vaccino adattato alla variante Omicron. “Stiamo lavorando su due fronti”, ha detto alla testata svizzera Blick Sabine Bruckner, responsabile di Pfizer in Svizzera.
“Da un lato stiamo studiando l’efficacia dell’attuale vaccino contro le varianti. Allo stesso tempo analizziamo se è necessario un adattamento e lo prepariamo”. Nuove notizie arrivano anche sul fronte dei trattamenti contro Covid: uno studio reso disponibile in pre-print prima della pubblicazione su Nature Medicine mostra che solo due dei cinque anticorpi monoclonali già disponibili o in procinto di arrivare sul mercato mantengono la propria capacità di neutralizzare la nuova variante del virus SARS-CoV-2.
La ricerca, coordinata dalla Washington University School of Medicine, ha testato contro la nuova versione del virus le monoterapie sotrovimab e regdanvimab e le combinazioni tixagevimab/cilgavimab, casirivimab/imdevimab e bamlanivimab/etesevimab. Solo tixagevimab/cilgavimab e sotrovimab hanno confermato la loro efficacia. “Nonostante si osservino differenze nell’attività neutralizzante di alcuni anticorpi monoclonali, resta da determinare come questo risultato si traduca in effetti sulla protezione clinica contro B.1.1.529”, avvertono però i ricercatori. Al 21 dicembre, secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco, in Italia sono state effettuate 25.739 prescrizioni di anticorpi monoclonali per pazienti con Covid: 11.599 prescrizioni della combinazione bamlanivimab/etesevimab, 12.983 di casirivimab/imdevimab, 334 di sotrovimab e 823 di bamlanivimab.