“Di cosa dobbiamo parlare? Di calcio?”.
No, onorevole Cracolici, parliamo del Pd, in Sicilia e altrove.
E Antonello Cracolici, rieletto all’Ars, dopo una campagna vissuta centimetro per centimetro, non si sottrae. Anche lui, come tutti i politici, ha molti peccati di politica da farsi perdonare. Ma non ha mai perso la grinta e la voglia di combattere quando tutti alzano bandiera bianca o si preparano a quegli autodafè che hanno il gusto amaro dell’ipocrisia. Se il disastro era tanto scontato, perché non pensarci prima, finché si aveva il tempo per provvedere?
Onorevole Cracolici, andiamo al punto: come la vede?
“Vedo il tipico dibattito di ogni sconfitta elettorale o calcistica. Tutto fa schifo… Dobbiamo liquidare tutto… C’è moltissima pancia e poca testa. Ricordo che questo Pd rappresenta milioni di persone che ci votano, pure in Sicilia”.
Andate alla grande, insomma.
“Non ho detto questo. Abbiamo tantissimi problemi e uno su tutti che riguarda la nostra proposta politica, la nostra visione. Siamo troppo ragionieri. Abbiamo la sindrome del partito senz’anima”.
E come si ritrova l’anima smarrita?
“Parlando davvero alle inquietudini della società, nella complessità che presentano. Parlando ai più fragili che sono i più indifesi rispetto alle ventate populiste. E’ un mondo diverso e difficile che non si risolve con la nostalgia del passato che colgo in giro”.
Come si arriva al futuro?
“Non con la testa rivolta indietro. Ieri c’era la fabbrica, come luogo di confronto non solo fisico, ma ideale. C’erano le sezioni. Ma non è che noi perdiamo perché le sezioni non ci sono più. Sono state chiuse vent’anni fa perché non avevano più la loro funzione davanti al cambiamento. Ci si giocava a carte ormai. Il punto è sempre l’elaborazione della proposta politica. Ecco che cos’è il futuro per me”.
Non è semplice.
“Lo so. Un amico mi chiedeva: perché avrei dovuto votare Pd? Ho avuto difficoltà a rispondergli e gli ho risposto che siamo stati i garanti dell’equilibrio negli ultimi cinque anni. E mi sono reso conto che siamo visti alla stregua del partito del Palazzo”.
Che in Sicilia candida il ‘papa straniero’ di turno, secondo formula abusata, ma efficace. E’ accaduto alle regionali con Caterina Chinnici. Perché?
“Perché il Partito Democratico siciliano si sottrae alle sfide. E’ accaduto con Chinnici, con Miceli, alle comunali. Era accaduto con Micari… Il Pd qui non si mette in gioco e non rispetta se stesso. Dunque, non viene rispettato”.
L’onorevole Chinnici ha risposto alle aspettative?
“Il tema non è questo, ma la paura di scegliere dentro di noi che porta a pescare fuori. Caterina Chinnici ha fatto quello che ha potuto, nelle condizioni complicate che sappiamo. Certo, conta il carattere delle persone. Non si può affermare che ci metta il cuore nella battaglia politica”.
Per una Chinnici che perde, ce n’è una, Valentina, che viene eletta con un significativo consenso e si iscrive tra i democratici. Una buona notizia?
“Senz’altro. Parliamo di una insegnante, di un pezzo di classe dirigente con cuoi dobbiamo discutere. Ma adesso non costruiamo l’ennesima pasionaria mediatica. Valentina Chinnici è una bella persona che si è distinta in una elezione in cui il fatto nominalistico ha avuto il suo peso”.
Sta dicendo che l’hanno votata per via dello stesso cognome della candidata alla presidenza?
“Sto dicendo che il fatto ha avuto un suo peso. Ovviamente, Valentina prende voti non perché si chiama Chinnici. Fa politica sul territorio, è consigliera comunale a Palermo ed è conosciuta”.
Adesso, in Sicilia, come a Roma, ci sarà il classico e metaforico bagno di sangue?
“Mah, vedo i consueti giochi di posizionamento e di fazioni. La gente non sopporta più un partito litigioso”.
Il segretario Barbagallo, a suo parere, deve andare via, deve restare?
“Lei non mi sentirà mai dire che qualcuno se ne deve andare. C’è, però, una questione: una classe dirigente è autorevole se è riconosciuta dagli altri. E noi dobbiamo riconoscere che il nodo dell’autonomia del partito in Sicilia, rispetto alle dinamiche nazionali, è una cosa da affrontare. Abbiamo visto quello che è successo”.
Lei lo aveva detto, no?
“Io per primo avevo spiegato che con i cosiddetti ‘paracadutati da Roma’ l’avremmo pagata cara. E’ successo, appunto. A Palermo, per la prima volta, il Pd prende più voti alle regionali rispetto alle nazionali. I nostri elettori hanno bocciato una impostazione che è apparsa agli occhi dei più come la scelta di non rappresentare il Pd siciliano al parlamento nazionale”.
Ma se esiste un problema generazionale, non crede che la chiami in causa personalmente?
“Il ricambio non è una questione anagrafica. Ci si misura sul campo. Io mi sono formato nelle battaglie politiche e non ho mai pensato che i miei vent’anni fossero un valore aggiunto. Dobbiamo ritrovare il coraggio e smetterla con i polli da batteria che la politica la orecchiano nei corridoi. Per essere chiari: non mi metto da parte. Difenderò sempre la Sicilia e il mio partito”. (Roberto Puglisi)