PALERMO – “Il prossimo candidato del Pd a Palazzo d’Orleans? Potrei essere io”. Davide Faraone rompe gli indugi, nonostante qualche cautela di rito. Lo fa prendendo spunto da una delle presentazioni del suo libro “Sottosopra”, al Lettarando in Fest di Sciacca. “Certamente faremo le primarie per la scelta del prossimo candidato governatore – spiega – e dovrà esserci un esponente del Pd di Renzi, ovvero di quel Pd che ha un giudizio negativo sull’esperienza alla Regione di Rosario Crocetta”.
Insomma, Faraone stavolta si è spinto un passo più in là, non escludendo il proprio impegno in prima persona. Quello che non cambia, invece, è il giudizio sull’attuale governatore. Un giudizio durissimo, espresso già durante l’ultima “Leopolda Sicula” e ribadito due giorni fa a Sciacca: “Se lo sostenessi sarei da trattamento sanitario obbligatorio. Le uniche riforme portate a casa dalla Sicilia sono quelle che abbiamo imposto da Roma, a volte addirittura attraverso il ricatto di non liberare i soldi per l’Isola. Ma non c’era un altro modo”.
Un giudizio severo, quindi, nonostante in quella giunta ci sia più di un assessore di area renziana. A cominciare dal responsabile dell’Economia, Alessandro Baccei, amico dello stesso Faraone: “Baccei è il simbolo di questo dialogo virtuoso con lo Stato. Un dialogo che ha portato alla liberazione delle somme per la Sicilia, oltre 1,6 miliardi, in cambio delle riforme e del ritiro dei ricorsi contro lo Stato. Nonostante i soloni dell’Autonomia chiedessero a gran voce di andare allo scontro col governo nazionale”.
Insomma, ribadisce Faraone, “abbiamo dovuto dire alla Sicilia: vi diamo i 500 milioni solo se fate le riforme perché la Sicilia non si è sentita in dovere di fare queste riforme da sola, senza la necessità di un ricatto. L’Isola trattata dallo Stato allo stesso modo col quale l’Europa tratta l’Italia?
C’è una bella differenza: Renzi – prosegue Faraone – ha fatto le riforme che gli hanno poi consentito di ottenere dall’Europa maggiore flessibilità e quindi risorse da spendere per tagliare le tasse e per altri interventi. In Sicilia invece, per fare le riforme li abbiamo dovuto ricattare. Nessuno mi convincerà mai – prosegue – che le cose in Sicilia vanno bene così, anche se questo è un governo regionale sostenuto dal Pd e anche se questo presidente della Regione è iscritto al Pd”.
Un governatore che non è riuscito, secondo il sottosegretario all’Istruzione, a portare avanti una vera e propria attività riformatrice quindi: “La Sicilia le riforme le ha tutte subite. Le idee del Pd di Renzi non sono state mai messe in pratica qui. Idee che renderebbero l’Isola più vicina all’Italia di Renzi. Ma in Sicilia molto spesso si cammina col freno a mano tirato. Quando facciamo una bella riforma a Roma e questa non viene immediatamente recepita, – prosegue Faraone – ci viene da piangere. Ogni volta queste passano dall’Assemblea regionale, dove ognuno mette il suo orpello che la rende una barzelletta. Noi abbiamo quindi fatto bene a impugnare tutte quelle riforme che erano da un lato incostituzionali, dall’altro anche insensate”.
L’ultima, tra le riforme impugnate e che il governo regionale dovrà riscrivere, c’è quella del sistema dei rifiuti: “Ricordo – dice Faraone – che quando si iniziò a parlare di rifiuti, il presidente della Regione si era detto convinto di poter chiudere il ciclo dei rifiuti con le compostiere domestiche… Noi abbiamo proposto due inceneritori e ora lui che era partito dalle compostiere è arrivato a sei inceneritori. Ci ha pure scavalcato quindi. Noi certamente – prosegue – dobbiamo rendere questa regione più moderna. Per questo penso anche che il Ponte sullo Stretto vada realizzato”.
Un Sicilia moderna, spiega Faraone, prendendo spunto anche dalle pagine del suo libro: “In Sicilia – dice ad esempio – c’è una economia da socialismo reale. Le forze politiche siciliane spesso si rivolgono a Roma col cappello in mano per richieste di natura assistenzialista. Si chiedono soldi a prescindere dalle nostre risorse. E siamo in una terra con tanto personale pubblico, basti vedere le portinerie degli assessorati, e i musei chiusi. Lo stesso discorso va fatto per i Forestali: sono tanti? A me interessa che vengano utilizzati bene. E temo che questo non sia avvenuto soprattutto per gli interventi di prevenzione degli incendi”.
Ma insieme alla Sicilia, secondo il sottosegretario, a cambiare dovrebbe essere il Pd. Che in effetti è cambiato, negli ultimi mesi, imbarcando esponenti politici provenienti dalle esperienze più diverse, in molti casi da partiti di centrodestra: “Noi non possiamo – ribatte però Faraone – chiudere la porta all’elettorato del centrodestra. Anzi, io spero di potere accogliere quegli elettori nel Pd. E dobbiamo superare certi totem come quello che distinguee ‘cuffariani’ e ‘lombardiani’, altrimenti il Pd rischia di restare sempre quello bravo a perdere, un partito dal 15 per cento”. E il tema di un Pd perdente fino all’avvento di Renzi torna altre volte: “Certe aree del Pd, in Italia come in Sicilia, abituate a perdere, adesso vogliono quasi insegnare a noi come si perde. Hanno rialzato la testa pure i vecchi, quelli che non hanno riformato il paese quando invece avrebbero potuto farlo: basti vedere le ultime dichiarazioni di D’Alema. Noi, quando eravamo in minoranza – ricorda Faraone – abbiamo sempre rispettato il Pd e non abbiamo mai provato a rompere tutto”.
Ma all’orizzonte l’appuntamento che può segnare una svolta anche negli equilibri interni del partito: “L’appuntamento referendario – prosegue – è quello nel quale ci giochiamo tutto. E non perché Renzi abbia personalizzato l’appuntamento, ma perché crediamo in quella riforma. Se perdiamo, quindi, è giusto che il governo che ha investito su quella rifoma vada a casa. È fondamentale quindi che anche in Sicilia prevalga il “sì” rispetto a chi vuole portarci indietro di decenni”. Poi si penserà alle elezioni regionali: “Il presidente della Regione – spiega – deve essere selezionato attraverso le primarie. Dalle quali non si potrà prescindere. E ho sempre detto che chi la pensa come me, cioè chi pensa che Renzi non sia una meteora, ma che in lui si incarni una nuova idea di partito, dovrà partecipare a quelle primarie con una candidatura che non potrà che essere alternativa a quella di chi ha guidato la Regione. Serve quindi un candidato che sia in linea col percorso che nazionalmente abbiamo messo in campo. Dovrà essere uno di noi. E quando dico uno di noi, potrei essere anche io”.
Potrebbe essere quindi proprio Faraone ad assumersi il rischio di affrontare la prevedibile ondata grillina: “Se temiamo il Movimento cinque stelle? Sono loro a dover temere il Pd. Alle ultime Europee ci dicevano tutti che erano a una incollatura, e alla fine gli abbiamo dato 15 punti. Lo stesso sarà in Sicilia se faremo la nostra parte”. E Faraone ha rotto gli indugi. E in attesa di essere il “dopo-Crocetta” veste i panni dell’anti-Crocetta.