Trasferito il genero di un boss | "Ma ora Crocetta mi chieda scusa" - Live Sicilia

Trasferito il genero di un boss | “Ma ora Crocetta mi chieda scusa”

Parla Francesco Schillaci, il dirigente della Segreteria generale trasferito da Crocetta a causa di una parentela con un presunto capomafia di Villabate. "Parole inaccettabili. L'atteggiamento del governatore è teatrale e demagogico". E il dipendente regionale affida la sua replica anche a una lunga lettera. Eccola.

PALERMO – “Possiamo anche rendere noto il nome?” chiede il presidente della Regione Crocetta. La sua furia rivoluzionaria, in quel momento, sta investendo Francesco Schillaci. Ignaro oggetto di un trasferimento per ragioni “di sangue”. “Abbiamo spostato – dice Crocetta durante una pirotecnica conferenza stampa – un dirigente della Segreteria generale. Pensate, per vent’anni gestiva i finanziamenti dei Fondi strutturali. Ed è il genero del presunto boss di Villabate Nino Mandalà”.

“Mi hanno avvisato alcuni colleghi – racconta Schillaci – che avevano letto sul vostro sito la notizia. E mi hanno subito manifestato la loro vicinanza, la loro solidarietà. Sono rimasto, ovviamente, sorpreso, e molto amareggiato. L’unica cosa che non mi ha sorpreso sono stati i modi con i quali è stato raccontato il mio trasferimento. Sono sempre gli stessi, in effetti: teatrali e demagogici”.

“Possiamo rendere noto il nome?” aveva in effetti chiesto in conferenza stampa il governatore, rivolgendosi al Segretario generale. Patrizia Monterosso ha confermato le generalità del dirigente “indegno”. Ma indegno perché? “Non è possibile esporre al ludibrio dell’opinione pubblica una persona perbene. È inaccettabile. Si sparano frasi del genere, dimenticando che c’è una persona nel mezzo. E senza tenere conto di com’è quella persona, di cosa ha fatto nella sua vita”. Schillaci, in effetti, stando alle informazioni raccolte, non avrebbe mai avuto alcun tipo di problema con la giustizia. Né, a dire il vero, di natura disciplinare. Eppure, Crocetta ieri ha anche rincarato la dose: “Ecco un esempio di come sono stati gestiti negli anni passati i soldi della Regione: erano davvero – ha aggiunto sarcasticamente – in buone mani…”.

Ma Schillaci non ci sta. Quelle parole non gli sono affatto andate giù: “Nonostante quelle dichiarazioni pubbliche, io – dice Schillaci – ho uno spiccato senso della giustizia. E non intendo accettare supinamente quelle parole”. E la replica del dirigente è arrivata attraverso una lettera accorata, nella quale attribuisce al governatore una “mentalità tribale”, parla di “deriva demagogica e populista”, ricorda di essere “un dirigente della Regione entrato per concorso nel 1989 (e non catapultato dall’esterno per misteriosi meriti manageriali, come soltanto una mala politica ha fatto e continua a fare)”, e precisa “prima di essere ‘genero di’, sono figlio di un artigiano morto in un incidente sul lavoro”. Infine, chiede al presidente le “pubbliche scuse”.

“Io posso comprendere – conclude Schillaci – che il governo decida di spostarmi da un ufficio, nel quale comunque ritenevo di stare a pieno titolo, a differenza di qualcun altro. Quello che è inaccettabile è che io possa essere messo alla gogna solo per una parentela e che riguarda mia moglie. Questi non sono comportamenti – conclude – degni di un Paese civile”.


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