Crocetta non dia lezioni di legalità | Su Irfis l'ombra delle condanne - Live Sicilia

Crocetta non dia lezioni di legalità | Su Irfis l’ombra delle condanne

Il governatore conferma amministratori già condannati per danni alle casse pubbliche. “Hanno lavorato bene” dice. E la moralizzazione?

La moralizzazione del presidente
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PALERMO – “Sul piano della legalità non prendiamo lezioni da nessuno”. Con queste parole il presidente della Regione ha condito una conferenza stampa durante la quale, tra le altre cose, ha dato notizia della conferma in blocco del consiglio di amministrazione di Irfis. “Non prendiamo lezioni da nessuno, sul piano della legalità” ha ammonito il presidente, ringalluzzito da qualche buona notizia sui conti e dalle novità su Camere di commercio e Irsap, ente quest’ultimo, una volta simbolo della moralizzazione in era Crocetta e adesso obiettivo delle frecciatine governative: “La vecchia gestione faceva così… gente che adesso è critica con noi…”. Riferimenti chiari all’ex presidente ed ex fedelissimo Alfonso Cicero (“La gente, giornalisti compresi, decidano da che parte stare, se dalla parte della legalità al fianco di Cicero o dalla parte sbagliata”, tuonò in una rovente conferenza stampa) e a Marco Venturi. Lo stesso col quale, racconterà Crocetta nella sua autobiografia, “tutto cominciò”. Cioè la lotta per la legalità del governo della rivoluzione.

La legalità. Gira tutto attorno a quello, in fondo. “Non prendiamo lezioni”, dice il presidente. Ma forse servirebbe qualche aiuto alla memoria. Ad esempio per ricordargli, di fronte a quella sentenza di insindacabilità sulla sua lotta al malaffare, che a gestire la nuova, magnificente, brillante Irfis, ha deciso di confermare un vicepresidente come Patrizia Monterosso, condannata dalla Procura contabile a un risarcimento da oltre un milione per un danno erariale per la vicenda degli extrabudget nella Formazione. Un danno, cioè, compiuto nei confronti delle casse pubbliche. Le stesse dalle quali sono stati prelevati i cento milioni utili a finanziare la “pseudo-banca”.

E la legalità? Crocetta taglia corto, in conferenza stampa: “La condanna contabile? E’ come dire che uno è mafioso perché non indossa il casco”. Dichiarazione che fa il paio, del resto, con quella tramite la quale derubricò in “multa” la condanna milionaria della Corte dei conti, provocando la reazione stizzita del presidente della Sezione giurisdizionale Luciana Savagnone.

Ma non è legalità, quella? Non è legalità quella garantita dai magistrati contabili? Il presidente decide di “prenderla larga”: “Questo cda – ha precisato – ha prodotto utili: squadra che vince non si cambia. Io so bene come hanno lavorato i dirigenti in questi anni. E mi basta questo, gli altri pareri non mi interessano”. E a chi gli fa notare che potrebbe trattarsi di una questione di opportunità politica, il governatore si rifugia altrove: “Non esiste una norma che prevede una incompatibilità per quelle questioni. Una proposta del genere è stata respinta anche dal parlamento nazionale. La responsabilità amministrativa non sancisce un dolo. Si può fare un errore materiale”.

Certo, si può fare un errore materiale. Peccato che questo governo non si sia certamente distinto per la mitezza dei suoi giuizi (quelli rivolti ai nemici, ovviamente), né per il garantismo. Di fronte invece a una certa indulgenza di fronte ad amministratori graditi – basti pensare ad Anna Rosa Corsello per la vicenda dell’auto blu o alle assunzioni in Sicilia e-servizi che hanno coinvolto Antonio Ingroia, oltre allo stesso Crocetta – diverse sono state invece le “sfuriate” del governatore per questioni che restavano ben al di sotto dell’asticella del milione e trecentomila euro di condanna del segretario generale.

Che tra l’altro sta affrontando nel frattempo un guaio un po’ più pesante: i procuratori della Repubblica di Palermo hanno chiesto per lei e la ex dirigente generale Anna Rosa Corsello (altro esempio, per anni, di legalità, secondo la liturgia crocettiana, e già condannata per peculato per l’uso disinvolto dell’auto blu), il processo per un presunto peculato da 11 milioni di euro. Una richiesta che nelle prossime settimane si potrebbe tramutare in rinvio a giudizio: “Se chiederò, in quel caso, alla Monterosso di fare un passo indietro? Basta parlare di lei – ha svicolato Crocetta – ho altro a cui pensare. Devo governare la Sicilia”. Già, governare sotto il vessillo sempre un po’ più sdrucito della legalità. “Voi giornalisti – punta poi il dito – vi credete una casta ingiudicabile mentre gli amministratori devono essere sempre considerati responsabili. Non è giusto”. Non è giusto, per il presidente, ancora “scottato” dall’affaire Espresso. Ma è probabilmente chiara anche a lui la differenza tra un cronista, un qualunque libero cittadino e un amministratore (per di più esterno, quindi lì solo grazie a rapporti di natura fiduciaria) che gestisce i miliardi dei siciliani.

E del resto, l’Irfis in questi anni ha garantito un’ottima indennità anche all’ex ragioniere generale Enzo Emanuele, condannato a sua volta a un risarcimento a cinque zeri, per una vicenda legata agli affidamenti per una “banca dati digitale”. Tutti lì, a guidare l’Irfis. L’azienda che potrà lavorare allo sviluppo del sistema imprenditoriale siciliano, garantendo contributi alle imprese d’ogni tipo. Con evidente “indipendenza” dall’organo politico, cioè dal presidente della Regione che ha infilato tutti i fedelissimi, compreso il consulente del presidente Salvatore Parlato. E ovviamente, nel collegio dei sindaci anche il suo capo di gabinetto, Giulio Guagliano. Nomina giunta nonostante i dubbi legati a una norma del codice civile che prevede l’ineleggibilità alla carica di sindaco della società per chi è legato a un’altra azienda (è il caso di Guagliano, amministratore unico di Resais) “sottoposta a comune controllo”. Cioè, almeno fino a quando Irfis è stata una partecipata, al controllo del governo regionale. Quello che “non prende lezioni di legalità da nessuno”.

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