PALERMO – Lo squillo di un telefono andato a vuoto. Poi un altro, ma ancora silenzio. E’ stata questa l’ultima speranza dei colleghi di Antonino Cinà, una delle vittime del crollo delle due palazzine di quattro piani, avvenuto la notte scorsa a Palermo. L’uomo, di 54 anni, lavorava da vent’anni al Bar Alba di Mondello. Il responsabile della struttura e i baristi del turno pomeridiano erano nel bel mezzo di una cerimonia privata, organizzata dopo aver chiuso le porte al pubblico. Pochi istanti e l’aria di festa si è tramutata in sconforto e desolazione. La cerimonia, infatti, è stata interrotta bruscamente dalla polizia, intervenuta per appurare se Antonino Cinà fosse o meno di turno quella sera.
Dalla segnalazione delle forze dell’ordine è partito il tutto. Una labile speranza, che si è spenta alle prime ore dell’alba, con il riconoscimento del corpo del 54enne da parte del fratello. “Antonino è stato rinvenuto sulle scale. Probabilmente stava tentando la fuga ma non ha fatto in tempo, i problemi fisici glielo hanno impedito”, racconta Carlo Vegna, responsabile del bar Alba. Due anni fa, infatti, Cinà aveva subito due interventi ad entrambi i ginocchi e conviveva, giorno per giorno, con la difficoltà di muoversi agevolmente a causa delle due protesi installate. Il 54enne non si era però demoralizzato e dopo sei mesi di riposo era tornato al lavoro, solare più che mai, continuando a svolgere le sue mansioni di fattorino. “In viso sembrava una mela deliziosa dal colore rosso vivo – continua Vegna, con una piccola scintilla negli occhi che si aprono e si chiudono lentamente –. Era il nostro caro e amato passatempo, sempre allegro, disponibile, umile. Lo prendevamo affettuosamente in giro e lui si arrabbiava ma dopo due minuti tornava a sorridere e il suo sorriso riempiva il locale. Possedeva un’allegria contagiosa”.
Antonino Cinà viveva con la zia al primo piano di una delle palazzine crollate. Si facevano compagnia a vicenda. L’uomo era divorziato ed aveva due figli. “Aveva preso due settimane di ferie quest’estate per andare a trovare i suo ragazzi, che vivono a Ravenna. Era un padre affettuoso, non iniziava la giornata se prima non sentiva telefonicamente entrambi i figli”, conferma il responsabile del Bar Alba e le parole stentano ad uscire, il dolore è palese e uno sguardo vale più di mille parole. Un sorso di caffè, un sospiro, gli occhi persi nel vuoto. “Antonino se domani non porti il cd che mi ha promesso ti consiglio di non presentarti al lavoro”, ricorda ancora Carlo Vegna. E Antonino non si è presentato davvero. Uno scherzo del destino ha messo fine alla sua vita e i colleghi stentano ancora a crederci. “Fino a ieri era qui, girava tra i tavoli, scherzava, distribuiva pacche sulle spalle e abbracci a tutti. Era una gioia vederlo – le parole si fanno ancora più flebili – e oggi come si fa ad accettare la realtà. Noi tutti ci sentiamo dentro un film, stamattina siamo stati fino all’ultimo secondo con le orecchie ben aperte e attaccate alla radio, sperando di sentire pronunciare il suo nome tra i superstiti”.
Proprio quella radio, che adesso Vegna stringe al petto, è l’unico ricordo lasciato da Antonino. “Era un uomo appassionato di ogni genere musicale. Un giorno si è presentato col suo solito sorriso bonario e con questa radio dicendo che la musica mette allegria e si lavora meglio ascoltandola”. E così da allora, non passava un giorno senza musica. Oggi, al posto delle note tanto amate da Antonino Cinà, regna il silenzio. Sguardi stanchi, occhiate meste e un groppo al cuore.