Al bar del quartiere, parlano di Renato Di Blasi. Dicono che se l’è voluta. Dicono che era un prepotente, un collerico, un manesco. Dicono che li ha picchiati di santa ragione gli addetti del centro scommesse, la gallina d’oro da rapinare con il suo complice, al Villaggio Santa Rosalia. Dicono – ma non ne sono sicuri – che la donna delle pulizie, vittima dell’aggressione, sia incinta. E che il suo compagno è stato colto da una disperazione scaturita dall’amore e dallo strazio di vederla percossa. Così, quando Di Blasi (“una montagna, una bestia”, dicono) è tornato dentro per soffocargli le grida d’aiuto sul nascere, ha reagito. Ha preso l’estintore e ha picchiato forte. Sempre al bar, dicono che il ragazzo malmenato che si è difeso ora rischia la vendetta dei “malacarne”. Dovrà lasciare la città, dicono. Accade a Palermo.
Un delinquente è morto. Una sfilza di precedenti lunghissima. Si comprende la rabbia di chi ha subito la sua violenza. Lascia sgomenti la forca degli altri. E sicuramente sarà uno sbaglio. Però, lasciano attoniti i commenti a margine: “Uno di meno”. Lascia di stucco la soddisfazione che si avverte a pelle, scritta, detta, sottolineata. Rivendicata. Non c’entra il buonismo. Ma poi sul buonismo, confuso con la bontà, bisognerà pur aprire una parentesi alla lontana. E sussurrare che qui la dolcezza è scandalosa, mentre l’odio è socialmente accettato. E’ strano scambiarsi una parola gentile. E’ normale tirarsi fiondate di insulti nel traffico. E’ inospitale la bellezza. E’ scusabile la munnizza. Non c’è più un aggettivo che sappia di dialogo, di confronto civile. Nemmeno su Zamparini. Non c’è più comunità. I punti di vista sono trincee, da cui scagliarsi pece bollente. Siamo mosche serrate nello stesso barattolo. Cozziamo di furia. Lo spazio vitale tuo lo sottrai a me. Accade a Palermo, ogni giorno. Tutto si tiene nella coltura di una identica sofferenza repressa.
E’ accaduto in questo giorno cattivo, nel riflesso di uomini cattivi che percuotono uomini buoni che diventano feroci, perchè amano, mentre intorno si esalta la liberazione dell’estintore. E qualcuno sostiene che sia un’immagine salvifica, l’incipit di un’era nuova. Basta non stare dalla parte sbagliata del colpo. No, non è la reazione legittima del ragazzo che ha ucciso, suo malgrado, in discussione. Quella è paura distillata dall’umanità. Ma pensare che i problemi si possano risolvere così, credere che la chiave stia nella forza degli estintori scagliati dai buoni sulla testa dei cattivi… è una follia, è la nostra cecità, è l’abisso che non cogliamo perché non abbiamo più luce nelle pupille. Eppure, accade a Palermo. E’ accaduto nel sangue infetto di un giorno cattivo.
A Palermo c’è il presidente della Repubblica. Non se n’è accorto nessuno, nemmeno il presidente della Regione. Segnali pericolosi di dissociazione dal basso e dall’alto. Chi scrive ci ha pensato per caso, quando ha visto sfilare dodici vigili urbani in motore. L’atterraggio dei marziani sul balcone, tra i gerani di casa, avrebbe suscitato meno impressione tra i presenti. E’ che oggi Palermo è stata ripulita bene bene, così siamo diventati ancora più pazzi, per mancanza di abitudine all’ordine e al lindore. Deve essere questo l’elemento di perturbazione che ha sprigionato la cattiveria allo stato gassoso, nella lunga agonia di un giorno forse più cattivo degli altri. Non dobbiamo temere nulla, però, tra poco sarà di nuovo munnizza senza redenzione. E tornerà il sole.