Tredici anni di carcere. Tanto merita quello che il procuratore generale ha definito “il tradimento inaudito di Cuffaro. Perché Cuffaro non era uno sprovveduto. Il suo apporto a Cosa nostra è stato volontario e consapevole. Ha agito nella piena consapevolezza della mafiosità di Giuseppe Gutttadaro, dei Mandalà di Villabate e di Michele Aiello”. Ecco perché all’ex presidente della Regione deve essere contestato non solo il favoreggiamento aggravato, ma il concorso esterno in associazione mafiosa. Da qui la richiesta del procuratore Luigi Patronaggio di condanna a tredici anni in continuazione con i sette che Totò Cuffaro sta già scontando in cella. Una continuazione proposta, ha ribadito Patronaggio, anche per ragioni umane. Senza la continuazione, infatti, in caso di nuova condanna, le pene dovrebbero essere sommate.
Non bisogna però, secondo il rappresentante dell’accusa, farsi ingannare dalla “buona fede di Cuffaro vasa vasa. Quando baciava baciava degli assassini. Lo ha stabilito la Cassazione e su questo punto non possiamo tornare indietro”. Grave è il giudizio su Cuffaro perché gravi sono i fatti che gli vengono contestati. Passando notizie riservate su indagini in corso ha evitato che “Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro venissero arrestati. Ha permesso alla mafia di Villabate di riorganizzarsi e ad Aiello di continuare ad arricchirsi”.
La vicenda delle talpe in Procura è uno degli aspetti su cui si è soffermato il pg: “Che motivo aveva Cuffaro di mettere in piedi questa macchina infernale che aveva contatti a Roma, a Palermo e nei carabinieri? E’ una cosa che fa accapponare la pelle”.
Infine, Patronaggio ha rilanciato dubbi mai risolti e sollevato nuovi interrogativi: “Chi era la fonte romana da cui Cuffaro prendeva le notizie? Quali erano gli interessi economici da proteggere e a chi facevano capo?”. Luigi Patronaggio bolla come “tecnicamente errata” la sentenza di primo grado che prosciolse Totò Cuffaro sulla base del principio del ne bis in idem. “Siamo di fronte ad un gravissimo scambio politico-mafioso. Ci sono fatti nuovi – ha aggiunto il pg -. Abbiamo cercato di leggere il materiale probatorio in maniera unica senza parcellizzazione. Questo lavoro il gup non lo ha fatto. Il giudice non ha dedicato una sola riga per spiegare chi era Michele Aiello e i suoi rapporti con Provenzano. Non ha dedicato una sola riga alla rete di talpe. Siamo di fronte a quegli episodi gravissimi che rendono invincibile il potere mafioso. Questa rete non serviva ad Aiello solo per trovatore voti, ma le informazioni servivano per proteggere Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro – ha concluso -. In questa rilettura dei rapporti fra Cuffaro e Aiello, Lo Verso avrebbe potuto aggiungere elementi importanti”. L’audizione del collaboratore di giustizia Stefano Lo Verso non è stata ammessa dalla Corte.
Patronaggio ha parlato anche di Massimo Ciancimino. Secondo il figlio di don Vito, Cuffaro avrebbe in qualche modo favorito Provenzano nei suoi interessi nella sanità e nella grande distribuzione. “Mi viene l’orticaria a pensare che Ciancimino sia stato arrestato per avere calunniato il capo della polizia – ha detto Patronaggio -. Non è facile neanche per all’accusa maneggiare le sue dichiarazioni. Questo piccolo contributo di Ciancimino forse andava letto alla luce di quello che aveva detto Lo Verso”.
Si torna in aula davanti alla corte d’appello presieduta da Biagio Insacco il 16 giugno per le arringhe dei difensori. Il 18, la sentenza.