CATANIA – Viale Grimaldi 18, la vigilia di San Lorenzo, si è trasformato in un fronte di guerra. Altro che stelle cadenti, in quella maledetta rampa piovevano pallottole. Da un lato alcuni ‘picciotti’ dei Cappello in sella a scooter e moto e dall’altro i Cursoti Milanesi a bordo di alcune automobili. Quest’ultimi non appena hanno notato il gregge di centauri hanno iniziato a sparare seminando morti e feriti.
Scene di guerra
Guerra, appunto. Scene che a Catania non si vedevano da tempo. E che con l’arresto del boss dei ‘Milanesi’ Carmelo Di Stefano, si spera, non si vedranno in futuro. Ma quanto accaduto l’8 agosto nel regno della droga dei Sanfilippo è solo l’ultimo capitolo di una faida mafiosa che si protrae da oltre un decennio.
Alleati contro i Mazzei
E pensare che all’inizio degli anni 90 i Cappello e i Cursoti Milanesi si erano alleati per contrastare i Mazzei. È Tano Sventra (Gaetano Di Stefano, padre di Carmelo) a cui in quel periodo è affidato il governo degli affari creati da Jimmy Miano a Milano, a chiedere il supporto di Turi Cappello e Ignazio Bonaccorsi nello scontro armato.
I due gruppi mafiosi, i Cursoti Milanesi e i Cappello, sono decimati dal blitz del 1992 passato alla storia come quello dell’autoparco di Milano. In quella retata Tano Sventra sfugge alla cattura, diventando latitante per due anni.
La Squadra Mobile di Catania lo ha arrestato in via Marco D’Agrate a Milano. Storica la sua foto con il volto coperto dal cappello. I cronisti lo hanno battezzato il ‘governatore’ di Milano: Di Stefano ha creato profondi legami con Francesco Coco Trovato, vertice della ‘ndrangheta a Milano. Il nome di Coco Trovato ultimamente è ritornato al centro dell’attenzione dopo il maxi blitz calabrese coordinato dal procuratore Gratteri.
L’eredità mafiosa
I figli Carmelo e Francesco Di Stefano, conosciuti come ‘pasta ca sassa’, hanno preso le redini del clan, negli ultimi quindici anni almeno, facendo “presa” sulla storia criminale della famiglia. Una storia di mafia e sangue che amano ricordare a chi magari ha la memoria corta.
Gli affari gestiti dai fratelli sono droga ed estorsioni. Da San Berillo Nuovo a Librino, i ‘Milanesi’ hanno creato un piccolo regno criminale. Per anni dentro e fuori dal carcere, anche grazie a diverse strategie ben architettate. Ma la furbizia è servita a ben poco davanti alle tante indagini coordinate dalla Dda etnea.
Il tentato omicidio Pardo
I Cappello nel 2009 si trasformano da alleati a nemici. Il controllo della fiorente piazza di spaccio di corso Indipendenza e un’estorsione contesa fanno precipitare le cose. Non è ancora scattato il blitz Revenge: il reggente dei Cappello Giovanni Colombrita è ancora a piede libero e diventa lui la preda da uccidere.
Ma il boss, che ha forse intuito le intenzioni di Ciccio ‘pasta ca sassa’, la sera in cui è pianificato l’agguato non è uscito da casa. I killer dei ‘Milanesi’ per poco non hanno rinunciato al progetto di sangue, ma poi hanno incontrato Orazio Pardo, il braccio destro di Colombrita, e hanno deciso di agire.
Michele Musumeci, detto Pamela, ha raccontato ogni particolare di quel tentato omicidio mai denunciato alle forze dell’ordine e che è stato scoperto attraverso le rivelazioni dei collaboratori di giustizia. Pardo è riuscito a salvarsi dalla raffica di colpi forse perché indossava il giubbotto antiproiettile e anche grazie all’intervento di Turi Liotta, che è rimasto ferito.
I ritorno dei Cursoti Milanesi
L’inchiesta Final Blow, scattata nel 2015, ha fatto tabula rasa del vertice decisionale dei ‘Milanesi’. Per un periodo, fino al ritorno in libertà di Carmelo Di Stefano nel 2018, sembravano quasi spariti dallo scacchiere mafioso.
Il gruppetto di Saretto Pitarà ‘u furesteri’ ha animato in quegli anni lo scontro con la corrente dei Bonaccorsi del clan Cappello. Ma questa è un’altra storia.
La guerra culminata nel duplice omicidio di Librino – secondo quanto emerge dalle indagini dei Carabinieri di Catania – è con il clan storico, quello che porta avanti il nome di Turi Cappello.
Nell’estate di tre anni fa, le pallottole sono arrivate davanti la porta di Gaetano Di Stefano. Ma leggendo le carte dell’inchiesta ‘Camaleonte’ sarebbero state destinate alla figlia dello storico boss, che in quel periodo ha avuto una relazione con un pezzo grosso dei Cappello.
Una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. E che purtroppo è esplosa davvero.