Sparatoria di Librino, droga e donne: perché i clan si affrontarono - Live Sicilia

Droga e donne contese: perché Cappello e Cursoti spararono a Librino

Il controllo del territorio e i fatti di sangue dell'agosto 2020

CATANIA – Le piazze di spaccio, le donne, le vecchie inimicizie. La sparatoria di Librino dell’agosto 2020 che vide scontrarsi il clan Cappello e i Cursoti milanesi ha avuto diverse cause, analizzate nel corso dei procedimenti giudiziari per i fatti di sangue in cui morirono due persone.

I collaboratori di giustizia o le persone coinvolte che hanno parlato dei fatti di viale Grimaldi hanno sempre parlato dei contrasti esistenti tra i due clan, frizioni personali e antipatie dovute a violenze e aggressioni, o all’amore per la stessa donna.

Come scrive la gip Marina Rizza in una ordinanza di custodia cautelare con cui sono arrestate altre due persone coinvolte nella sparatoria, le frizioni personali però potrebbero essersi solo innestate su un contesto criminale più ampio, che aveva a che fare con il controllo delle piazze di spaccio di San Berillo Nuovo e di viale Mario Rapisardi.

La tensione che portò alla violenza

Nei giorni precedenti alla sparatoria di Librino i Cappello e i Cursoti sono ai ferri corti. I motivi per fare crescere la tensione si sommano. Giorgio Campisi, figlio di Roberto, braccio destro del capo dei Cursoti Carmelo Distefano, aggredisce in un locale di Capomulini un buttafuori amico di Salvuccio Lombardo jr, esponente di spicco dei Cappello.

Il giorno prima della sparatoria, l’aggressione a Gaetano Nobile da parte di Distefano e del suo gruppo, in via Diaz. Motivi di donne: Nobile si sarebbe visto con una ragazza.

La stessa sera, la prima ritorsione per il pestaggio del buttafuori: un gruppo di persone guidato da Salvuccio Lombardo aggredisce a colpi di casco Giorgio Campisi in un locale. Sempre la stessa notte, colpi di pistola raggiungono una sala scommesse riconducibile ai Cappello, a San Cristoforo. Reazione per il pestaggio a Campisi, sostiene lo stesso Lombardo secondo alcuni collaboratori.

La sparatoria di Librino

Gli ingredienti per scendere in strada a sparare ci sono già tutti, al punto che entrano in scena tutte le figure di vertice di entrambi i clan: lo stesso Salvuccio Lombardo junior e Massimiliano Cappello per i Cappello, Carmelo Distefano per i Cursoti milanesi. Si parla di un incontro pacificatore, che però non ha luogo.

Nel pomeriggio, una colonna di 28 persone su 14 scooter attraversa Librino, via Palermo, parte del viale Rapisardi e poi raggiunge viale Grimaldi, dove c’è la piazza di spaccio dei fratelli Sanfilippo, vicini ai Cursoti.

La colonna si scontra con le auto su cui si trovano gli stessi Sanfilippo, Carmelo Distefano, Roberto Campisi e altri. Alla fine della sparatoria muoiono due persone.

Il territorio

Ma bastano dei contrasti di donne e per questioni di rispetto tra clan a giustificare un dispiego di fuoco simile, con spari all’aperto in pieno giorno? Secondo quanto dichiarato dal collaboratore Carmelo Liistro i contrasti personali si sarebbero innestati su una questione più strutturale, quella del controllo del territorio e delle piazze di spaccio.

In particolare, in quel periodo Carmelo Distefano era determinato a ribadire il controllo da parte dei Cursoti milanesi sulla zona di San Berillo nuovo e su quella del viale Mariano Rapisardi.

Le condizioni di Distefano, che secondo quanto risulta anche in altri processi si riforniva di cocaina da diverse fonti per le sue piazze di spaccio, erano semplici: tutti a San Berillo Nuovo e in viale Rapisardi dovevano comprare droga dai Cursoti milanesi, a prescindere dal gruppo di appartenenza. Distefano non tollerava interferenze.

Il controllo

La guerra per le piazze di spaccio sarebbe il motivo quindi anche per gli altri gesti “territoriali” di entrambi i clan, impegnati nella lotta per il controllo delle zone che consideravano di propria competenza.


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