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Da bambini| siamo tutti Fava

Trent'anni dopo l'omicidio di Pippo Fava è forse questa l'eredità che dobbiamo raccogliere: imparare a rimanere bambini, dubitare delle verità preconfezionate, che a porgercele sia un adulto o un ufficio stampa

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CATANIA – Quando nasciamo siamo tutti Pippo Fava. Pervasi dall’esigenza di comprendere il mondo, esaltati dalla curiosità, scossi nei primi passi da un interrogativo-chiave: perché? È questa domanda, la più istintiva fra quelle che ci poniamo, il quesito che più spesso, anche facendo il mestiere di giornalista, dimentichiamo. Ed è forse questa, trent’anni dopo l’omicidio di Pippo Fava, l’eredità che da lui dobbiamo raccogliere: imparare a rimanere bambini, dubitare delle verità preconfezionate, che sia un adulto a porgercele o un ufficio stampa.

A un cronista, presto o tardi, viene spiegata la regola delle 5W. Sono, quelle cinque domande, l’abc del giornalismo, i cardini di ciò che chiamiamo “notizia”: “chi”, “cosa”, “dove” e “quando”, però, col tempo, tendono a soppiantare quel “perché” che rende completa la comprensione del mondo. Effetto del nostro irrisolto conflitto con l’istinto, ma forse anche dei tempi. Delle trasformazioni che, in forma di bit e di tecnologia, hanno stravolto il mestiere di giornalista.

È più facile, oggi rispetto a trent’anni fa, fare questo lavoro, ma è forse più difficile farlo bene. Da quel 1984 quasi tutto è cambiato: le redazioni sono inondate di comunicati stampa, di veline e documenti riservati, portatori tutti di una verità che necessariamente è di parte. Di una parte sola. Di un punto di vista senza prospettiva. Di un perché irrisolto. Sta qui lo sforzo nel quale a volte molti di noi, più di tutti chi scrive queste righe, falliscono: riuscire a evitare la strada più facile, collegare fatti e persone, abbandonare i santuari incrollabili di certezze. Dubitare, cioè, anche della più cristallina delle fonti. Di ogni forma di potere, che sia esso economico, politico o giudiziario.

Pippo Fava, in eredità, ci ha lasciato questa lezione. Lui come Mario Francese, Mauro De Mauro, Beppe Alfano, Giovanni Spampinato, Cosimo Cristina, Mauro Rostagno e tutti gli altri cronisti uccisi o ancora oggi minacciati da Cosa nostra è riuscito nell’impresa più difficile: diventare grandi senza smettere di essere bambini. Senza smettere di avvicinare il dito alla fiamma per scoprire se sia vero, come dicono, che è calda. Non è coraggio né ingenuità: è coerenza. La coerenza che dobbiamo a Pippo Fava. E quella che, in fondo, dobbiamo a noi stessi.


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