19 Marzo 2017, 16:37
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Lo avevamo lasciato a sparare numeri a casaccio dalle televisioni, a puntare il dito contro gli insopportabili vitalizi, persino ad ammettere involontariamente che la Sicilia dovrà pur ripartire dopo questi anni di disastri. E così, da governatore all’opposizione di se stesso, da istituzione che si fa antipolitica, a quella contraddizione aveva affidato il suo nuovo movimento politico.
A guardarlo adesso, era solo l’inizio. Dietro il folklore, sotto la polvere, oltre l’evanescenza delle denunce su disabili e presunti disabili, evasori e presunti evasori, c’era molto di più. C’era l’inizio di una trasformazione. L’ingresso in un periodo diverso dagli altri. Quello della “resa dei conti”, della campagna elettorale, in cui è meglio archiviare svolazzi e fantasie. E badare al sodo. E così, ecco emergere – o tornare – un altro Crocetta. Un governatore che sembra avere in mente solo le nomine. Solo la militarizzazione di queste rovine chiamate Sicilia. L’occupazione metodica e totale delle poltrone. Leve per il consenso. Avamposti di un potere da fine dell’Impero.
Le sta provando tutte, Crocetta. Mentre in Assemblea regionale non arriva una riga sulla Finanziaria che dovrebbe dare risposte a migliaia di siciliani, il governatore passa le ore nella penombra di Palazzo d’Orleans o nelle festicciole pubblico-private, a individuare la strada giusta per giungere all’obiettivo. Tagliente, affilato, assatanato manco fosse un Pippo Inzaghi in aria di rigore. Crocetta non pensa ad altro.
Passa il tempo a recitare la parte di chi deve impegnarsi a convincere Antonio Fiumefreddo a non dimettersi da Riscossione Sicilia, avendo annusato come le recenti uscite dell’avvocato catanese abbiano effettivamente fatto presa nell’opinione pubblica, anche solo grazie al sapiente uso di quell dicotomia tra “noi” e il Palazzo. Lo fa, Crocetta, provando a far dimenticare che il Palazzo, in realtà, è proprio lui.
Che addirittura benedice una mossa sospesa tra l’arroganza istituzionale e il grottesco che puoi trovare in certi accattonaggi del potere. E così un suo fedelissimo, sul quale in passato qualcuno aveva sollevato dubbi sulla consistenza dei titoli in possesso, viene “assunto” nell’Ufficio di gabinetto di un suo assessore appena due giorni prima della nomina al vertice di un ente pubblico (meglio ricordarlo, perché solo di cosa pubblica stiamo parlando), solo per evitare che qualcuno – cioè la Commissione dell’Ars che ha per Statuto questo compito – possa verificarne la consistenza del curriculum. E così, Sami Ben-Abdelaali diventa presidente di Ircac. Una nomina così necessaria, così fondamentale, che per ben quattro anni Crocetta non ha minimamente pensato a sostituire il vecchio commissario Carullo. La fretta, la necessità di un Crocetta che appare famelico, è emersa solo adesso. Ora che è finito tutto. Che non c’è più nulla da fare per far dimenticare disastri, strafalcioni, oltre quaranta assessori mutati, i bluff inanellati come grani di un rosario.
E così, l’unica eredità che il presidente giunto per fare la rivoluzione lascerà a chi verrà dopo, sarà forse un plotoncino di fedelissimi, un gruppetto di parroci del sottogoverno. Blindati da Crocetta per i prossimi anni, come se la Sicilia non avesse bisogno d’altro. Ma ovviamente, la Sicilia al governatore non interessa affatto. Semmai, è più importante pensare all’oggi e al “tra poco”. Quando il presidente che è convinto d’essere amato pure quando tutte le classifiche gli spiegano che i siciliani non lo vogliono più, dovrà pur cercarsi una sistemazione. Dovrà pur mettere sul piatto qualcosa, di fronte agli interlocutori che potrebbero aprire la porta verso uno scranno qualsiasi.
E così, la freccia acuminata in cui si è tramutato questo ultimo Crocetta, questo governatore che ha lasciato altrove le paillettes e gli assessori-star, le ali da mettere a un’Ast che invece rischia di fallire, le invenzioni dei Trinacria bond, i Piani giovani, i Patti dei sindaci che avrebbero cambiato la Sicilia, punta dritto al bersaglio. Pallottoliere alla mano. E così, dopo aver ignorato la situazione in cui versava la Seus per anni, dopo l’addio polemico dell’allora direttore generale Angelo Aliquò, adesso, solo adesso scopre la necessità che il suo ex gabinettista Gaetano Montalbano, senza particolare esperienza in società di queste dimensioni e di questa delicatezza, debba diventarne l’amministratore unico, a capo di una società da oltre tremila lavoratori. Tralasciando la delicatezza di un’azienda che si occupa del servizio del 118.
E ancora, ecco la necessità di evitare che il suo fedelissimo Antonio Ingroia giunga fin dentro i giorni del “semestre bianco” per le nomine. Così, pronta la nuova mossa, il balletto del “mi dimetto ma torno subito” e voilà, un nuovo incarico triennale. Che stando alle parole della vicepresidente Lo Bello è necessario “per garantire che si possa portare a termine il grande piano triennale degli interventi della società”. Da ex pm a Bill Gates di Sicilia, che decide persino di cambiare insegna alla società, forse solo per quelle ragioni di rappresentanza che, secondo i pm che lo hanno indagato per peculato, sembrano a lui molto care. Crocetta che una volta fu inquisitore, del resto, si scopre garantista. A intermittenza, ovviamente. Con quella disinvoltura ormai nota e consapevole che gli ha consentito di ignorare indagini, rinvii a giudizio e condanne per i suoi fedelissimi, e andare avanti a moralizzare, a predicare la legalità. La stessa piegata a uso e consumo di quel cerchio magico che dovrà tornare buono alle elezioni. E che ha generosamente offerto a chi governerà dopo di lui.
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19 Marzo 2017, 16:37