Dai Maiorana ai soldi di Lo Piccolo| I segreti del neo pentito Pipitone - Live Sicilia

Dai Maiorana ai soldi di Lo Piccolo| I segreti del neo pentito Pipitone

Il neo pentito Nino Pipitone

In tanti tremano per la collaborazione del rampollo della storica famiglia mafiosa palermitana.

LE DICHIARAZIONI
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PALERMO – La linea di demarcazione è il 2007. Fino al suo arresto Antonino Pipitone era l’erede di una storica famiglia di boss alleati con i pezzi grossi di Cosa nostra. Da Totò Riina a Bernardo Provenzano, fino a Salvatore Lo Piccolo. Pipitone in cella c’era finito per mafia ed estorsione, dopo gli sarebbe piovuta addosso la condanna all’ergastolo per omicidio.

Oggi, alla soglia dei cinquantanni, Pipitone ha scelto di pentirsi. Il suo nome non va a rinfoltire la schiera dei recenti collaboratori che raccontano la storia di una mafia, quella dei nuovi boss, che arranca. Lui conosce i segreti dell’ultima stagione di potere e ricchezza, chiusa con la cattura di Salvatore Totuccio Lo Piccolo, barone del mandamento di San Lorenzo, i cui confini si estendono fino a Carini.

Lo Piccolo, pure lui in cella dal 2007, se si esclude Matteo Messina Denaro, è stato l’ultimo dei padrini latitanti. Eppure nove anno dopo il blitz dei poliziotti della Catturandi nel covo dei Giardinello dove si nascondeva assieme al figlio Sandro, dopo tonnellate di arresti che hanno spazzato via l’esercito del capomafia, sappiamo pochissimo del tesoro di Lo Piccolo. Sono state scovate le briciole. Pipitone potrebbe dare una svolta alle ricerche, offrendo le coordinate degli investimenti dei vecchi padrini e svelando i rapporti con la mafia americana.

Vecchio e potente è stato il padre di Nino, Angelo Antonino Pipitone, ultrasettantenne e in cella come il figlio, che alle microspie una volta rassegnò uno sfogo. “Pazienza che posso fare, il mio destino è stato questo, che posso fare?”, diceva l’anziano boss. Non aveva né voluto né potuto sottrarsi al suo destino di mafioso. Negli anni ’80 si diede pure alla latitanza per sfuggire ai mandati di cattura che condivideva con padrini del calibro di Bernardo Provenzano e don Tano Badalamenti. I Pipitone, subentrati ai Passalacqua al vertice della famiglia di Carini, a partire dal 2000 hanno legato le loro fortune a quelle di Lo Piccolo. I fratelli Angelo Antonino, Giovan Battista e Vincenzo Pipitone bloccati in carcere hanno passato il bastone del comando a Gaspare Pulizzi, Ferdinando Gallina e infine ad Antonino Pipitone.

Quest’ultimo oggi segue l’esempio di Pulizzi che pentito lo è già da anni. Le sue dichiarazioni sono sì servite, assieme a quelle di altri, ad azzerare l’esercito di Lo Piccolo, ma non a scovare il tesoro del capomafia. I pm di Palermo non hanno mai smesso di cercarlo. Ne hanno fiutato le tracce in Svizzera, Gran Bretagna e Lussemburgo. Gli anni del dominio dei Lo Piccolo sono gli ultimi in cui le casse dei clan erano traboccanti del denaro del pizzo. Quando il padrino fu arrestato nella villa di Giardinell i poliziotti della Mobile gli trovarono addosso la contabilità. Per il solo 2007 aveva incassato un milione mezzo di euro dalle estorsioni.

Dove sono finiti tutti quei soldi? Le indagini e i racconti di altri pentiti hanno descritto le figure di direttori di banca conniventi, spalloni che trasportavano denaro in contanti e di professionisti che reclutavano folti schiere di prestanome. Ecco perché la collaborazione di Pipitone può davvero essere importante per superare il limite dove  finora le indagini si sono fermate. Ad esempio per decriptare i segreti della banca dati dell’architetto Giuseppe Liga, che di Salvatore Lo Piccolo è stato il successore. Alcuni anni fa ai Pipitone sono stati sequestrati imprese, società, magazzini e capannoni nella zona industriale di Carini. Un gruzzolo stimato in 8 milioni di euro. Briciole, però, hanno sempre detto gli investigatori che da oggi hanno una carta in più da giocare, una gola profonda all’interno del clan.

Nino Pipitone può aggiungere nuovi particolari sulla stagione di fibrillazione all’interno di Cosa nostra. Salvatore Lo Piccolo e Nino Rotolo, storico boss di Pagliarelli, erano pronti alla guerra. Il primo voleva il rientro degli scappati in America per sfuggire alla mattanza corleonese degli anni Ottanta. Il secondo si opponeva con tutte le proprie forze al progetto. Toccò a Bernardo Provenzano trovare, come sempre, una mediazione per evitare la guerra.

Così come la guerra, stava per scoppiare anche fra le famiglie di Carini per colpa di alcuni furti di bestiame. Lo Piccolo convocò una mega riunione in un ristorante di Torretta. Serviva la pace per gestire al meglio gli affari in una delle zone più ricche della provincia di Palermo, dove negli ultimi anni sono sorti decine di centri commerciali e fioccate le concessioni edilizie per costruire case, ville e residence. Come quello che stavano realizzando Antonio e Stefano Maiorana, i costruttori spariti nel nulla il 3 agosto 2007. Per le mani avevano un grosso affare in un terreno fra Villagrazia di Carini e Carini, nel regno dei Pipitone. Salvatore Lo Piccolo non poteva certo permettere che quattro pecore facessero saltare chissà quali affari.


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