Dal barcone al bancone |Amid, storia di un migrante - Live Sicilia

Dal barcone al bancone |Amid, storia di un migrante

Un incontro fortuito che diviene il pretesto per un dialogo, il principio di una conversazione che costituisce un’opportunità di conoscenza, d'integrazione.

IL VIAGGIO DALLA TUNISIA ALLA SICILIA
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Immigrati a bordo di un barcone

PALERMO – “Amico, hai una sigaretta? Per piacere…”. Una domanda avanzata in maniera piuttosto semplice, una preghiera laica svuotata della pretesa di esaudimento. La richiesta di un prestito senza assicurazione di rientro che diviene il pretesto per un dialogo, il principio di una conversazione che dietro le vesti di fastidiosa richiesta avanzata da “un turco” cela un’opportunità di conoscenza, di integrazione.

A parlare è Amid, 35enne extra-comunitario tunisino arrivato in Sicilia tre anni fa e mai più andato via. Una delle tante storie di nordafricani che lasciano il Paese d’origine a bordo di barconi o di gommoni rattoppati con l’intento di andare a cercare fortuna in Germania e Francia ma che, dopo aver messo piede in Italia, non riescono a proseguire il loro viaggio e provano a sbarcare il lunario nel nostro Paese. Finendo per innamorarsene.

Ci sediamo in un bar del centro a fare colazione insieme. Chiede un caffè, ma i suoi occhi tradiscono la voglia di un croissant. Cominciando a dialogare, scopriamo di condividere la passione per il calcio. Mi svela che da ragazzo riuscì a convincere il nonno a spendere i pochi dinari risparmiati dopo una settimana di lavoro per accedere ad un locale di Susa, sua città natale, dove trasmettevano la gara della Tunisia con l’Inghilterra di Beckham e Scholes al mondiale francese.

Poi inizia a parlarmi dell’Italia. Mi spiega che da quando è arrivato ha ricevuto quattro proposte per entrare nel circolo vizioso dello spaccio di stupefacenti ma che lui ha sempre rifiutato “perché la droga non ha rispetto per la vita”. Mi confessa che vive per i suoi tre bambini e per la sua compagna, e che ogni sacrificio è ben speso in nome dell’amore per ciascuno di loro. Persino la lontananza, persino i periodi in cui, per far pervenire i soldi alla famiglia, occorre rinunciare a qualche pasto. D’altronde, “Amid in arabo significa aiuto e io voglio vivere per aiutare la mia famiglia”. Parole semplici, ma dense di un significato profondissimo.

Li vede attraverso il computer di un internet point, spesso gli scrive. Spera un giorno di poterli portare qui, dall’altra parte del Mediterraneo. Un piccolo grande sogno che costituisce l’unica motivazione che lo induce ad alzarsi all’alba per svolgere le attività più disparate: muratore, panettiere, calzolaio, cameriere. Ma prima occorre trovare un lavoro regolare, per ottenere il permesso di soggiorno e sfuggire alla scomoda condizione di clandestino. Un’etichetta che mal sopporta, Amid, perché “mi costringe a fuggire senza fare nulla di male”.

Dopodiché mi descrive la sua Sicilia. Elogia il popolo isolano, ritenuto “splendido e speciale”, anche per la capacità di incarnare il concetto di collaborazione insito nel suo nome, tranne qualche raro caso di intolleranza. Dietro quell’uomo ci sarebbe un mondo da scoprire, un universo di valori morali da inseguire e raccontare, ma la tirannica regola dell’orologio impone ad entrambi il commiato. Lui mi ringrazia, ignorando che sarà chi si trova di fronte ad essergli debitore. Shùkran, Amid.


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