CARO Davide Faraone,
Ricordi ancora quel tempo da ragazzini, quando tutti e due pensavamo che i sogni fossero cose serie e che si potessero anche costruire castelli sulla sabbia, magari perché sarebbe stato dolce rimirarli, prima che una pedata li buttasse giù? Tu ti chiamavi già Davide Faraone, ma eri solo un ragazzo, appunto: il frutto di una stirpe di compagni – tuo padre, un grande sindacalista – che credeva nella forza delle azioni, soprattutto se nate dal basso.
C’era una specie di locale in disuso in via Maltese, in fondo a viale Strasburgo, a Palermo: un bugigattolo di rovi e sterpaglie, incardinato nel cuore della periferia misconosciuta, quella che nessuno vede e di cui nessuno si cura, perché troppo vicina alle residenze dei benestanti. Da lì cominciò l’opera tua e quella di altri bimbi sperduti, innamorati di una parola che li avrebbe fregati del tutto: ‘cambiamento’. Bastava annusarne l’essenza, era sufficiente percepirne il fragrante schiumare, per trovarsi pronti a partire contro qualsiasi drago, verso qualunque impresa.
E si partiva dalla sezione-sgabuzzino Ds dedicata – vai a sapere perché – a ‘Concetto Marchesi’, politico e latinista. Niente Berlinguer. Niente Amendola. Da lì, dunque, si avanzava per le strade refrattarie del quartiere San Lorenzo: non era ancora il Duemila. Il volantinaggio. Il banchetto. L’iniziativa. L’attacchinaggio notturno durante la campagna elettorale. E c’era il dibattito di conio germiano da cineforum, con tanto di palchetto. Discorsi meravigliosi, dall’intenso sapore letterario, sicché sembrava che il fumo della pipa di Marx spirasse direttamente a benedire le parole carbonare del bugigattolo, con le sue nubi azzurrine. Tutto molto nobile. Tutto molto bello. Tutto molto doloroso, adesso.
Perché, infine, c’era la porta che non si oltrepassava mai e che conduceva nella stanza fisica e simbolica delle decisioni ultime. Lì, si riunivano in tre o in quattro e tiravano a sorte per contendersi la tunica del partito. Fu quello il momento esatto in cui la sinistra (centro, con o senza trattino) smarrì se stessa. I suoi ragionamenti erano pezzi pregiati, da esporre orgogliosamente in piazza, da rivendere nei mercati. Tuttavia, non contavano nulla. Le teorie delle base apparivano avanzatissime, politologicamente avvertite, grondanti di sensibilità, eppure al lancio del dado sul tavolo, sparivano. Valevano molto di più le mezze frasette sussurrare negli stanzini o nei ristoranti, tra le pietanze dei potenti. L’imperativo sinistro, dopo tante mazzate, divenne: vincere, vincere a ogni costo, senza nessun riguardo delle anime e dei corpi che si abbandonavano per strada.
E venne l’orrendo governo Lombardo. E venne l’osceno governo Crocetta. Ebbe inizio la mutazione di un centro (trattino) sinistra, nei secoli, troppo verboso e inconcludente, che, a un certo punto, sposò il cinismo al posto dell’idealismo; senza tentare vie di mezzo. Perché stupirsi se uno degli oratori migliori della ‘Concetto Marchesi’ – Franco Campanella, ragazzo onesto e talentuoso – decise per disperazione di gettare alle ortiche anni di militanza, per lasciarsi assordare dalle sirene casaleggian-grillesche (salvo ripentirsene)? Come meravigliarsi di una identità sfarinata e calpestata, sacrificata per una vittoria che ha visto tutti sconfitti e depredati? Quanto addolorarsi di una ricchezza consegnata a figuri che appena qualche tempo fa nemmeno sarebbero stati accettati come uomini delle pulizie (con tutto il rispetto) di una sezione a piacere?
Caro Davide Faraone, in questa storia tu ci sei stato, tu ci sei, tu ci sarai. Hai perso capelli e messo pancetta da allora, dal nostro primo incontro. Capita. Sei stato cracoliciano degli inizi, prima di prendere al volo il tram renziano: ed è sempre segno di un grande naso politico comprendere in anticipo la direzione del vento. Da un po’, ti sei sistemato nel lato oscuro della porta: nella zona dei sussurri e dei bisbigli – che un tempo odiavi – nella sontuosa Versailles che non ascolta le grida degli straccioni di fuori. E – pensa che beffa -passerai alla storia come uno dei massimi sostenitori dell’impresentabile Governo Crocetta. A certi livelli, la mossa recalcitrante del cavallo, che una volta scalcia e l’altra rincula, non è sinceramente credibile.
Dunque scegli, cosa fare, per l’anno che verrà: è un augurio amichevole. Scegli che cosa vuoi essere ora e per sempre. Gli abiti nell’armadio non mancano. C’è il cappotto del compito funzionario che modella lo sfascio, con le sue forme di cera, per sua convenienza personale. Ma deve esserci pure il costume di Peter Pan, del ragazzo che rompeva a calci le porte, perché amava volare. Magari ti viene ancora.