Dalla Foss al Biondo | La cultura acefala - Live Sicilia

Dalla Foss al Biondo | La cultura acefala

Niente soldi, né programmazione, né visione. E se Palermo piange, il Bellini non ride.

DALÌ A QUI
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2 min di lettura

Ex portavoce dell’attuale presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, Eusebio Dalì oggi è vicepresidente di Ast. Questo è il suo primo contributo tra quelli raccolti nella sezione delle idee del nostro giornale.

In Sicilia la cultura è acefala, a Palermo è il vessillo di una capitale decaduta prima ancora di risorgere.

La Foss è accartocciata sul suo stesso vuoto di potere, il Biondo fa il pieno solo di polemiche per un direttore che non c’è e di proteste per i debiti che si accumulano. Sono i due specchi dell’oscurantismo di città, i templi del macello, le cattedrali di un deserto senza fine. Sono le macerie di anni miopi e bui.

Non ci sono soldi, non c’e programmazione, non c’è visione. Ci sono solo cda scaduti, caselle da riempire e un manuale Cencelli da applicare. Il resto è noia, il testo è sempre lo stesso: l’arte rinnova i popoli, eccetera eccetera.

Biondo e Politeama: due teatri non distanti l’un dall’altro e vicinissimi nel loro triste destino di platee tappezzate di polvere e storia, di standing ovation frammiste a fischi sonori, di stentorei “chi di è scena” finiti in fiaschi di vino e tarallucci.

E la politica che fa?

Per Orlando la cultura si Manifesta a intermittenza: ora è una kermesse un po’ spinta e alternativa, ora è un assessore-spot dell’integrazione. Per la Regione è invece una croce a cui inchiodare l’ennesimo predicatore che, invano, invoca l’ennesimo miracolo. Fortuna che, in mezzo a questo deserto, senza oasi e senza sole, c’è ancora qualche raro profeta che alla cultura dedica le venticinque ore della sua giornata, rammentando come amare son le sue radici ma dolci sono i suoi frutti. Non serve nominarli, i profeti sono pochi e altresì ben noti, almeno quanto gli eventi di cui si fanno promotori e che salvano il salvabile, in una città che propone poco e quel che spende lo spende male. E poi, si sa, i profeti hanno sempre vita difficile e malasorte, tartassati dalla diffidenza della moltitudine e dall’egoismo di chi architetta in solitudine. Così, mentre loro continuano nell’amara ricerca dei frutti più dolci, incuranti delle cieche cesoie che tagliano sempre e sempre risparmiano i rami secchi, c’è chi, incurante del nulla cosmico che gli sta intorno, si piazza dietro le porte del potere, recitando quel Cencelli come il più intenso dei soliloqui shakespeariani, nella speranza di raccoglierne anche un po’ per sè, di quei frutti. Perché l’arte rinnova i popoli e pure i Cda, prima o poi; e poco importa se quei frutti, raccolti finalmente dalla cuccagna, saranno acerbi (quanto acerbo è il sapore della minestra riscaldata), basta sedersi e mangiare.

E se Palermo piange, il Bellini non ride …


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